close
4 RuoteDi serieIndycarPagelleSu pista

IndyCar, il Pagellone di fine anno: da Dixon a Pigot, da Wickens alla Patrick





Anche un’altra stagione della IndyCar Series si è conclusa. A laurearsi campione, quest’anno, è stato Scott Dixon: per la quinta volta il neozelandese ha vinto la serie americana. La Honda ha battuto la Chevrolet nel loro duello tra Costruttori, mentre Will Power si è affermato come campione sugli ovali (Dixon invece è vincitore tra gli stradali). Ma oltre i punti in classifica, quali saranno i voti del pagellone di fine anno?

©Scott R. LePage/LAT for Chevy Racing
©Scott R. LePage/LAT for Chevy Racing

SCOTT DIXON – 10. Il Campione 2018 ha dimostrato una grande costanza quest’anno e merita il massimo perché ha vinto con Ganassi. La squadra di Chip infatti stava attraversando un periodo difficile: nonostante tutto, il Kiwi ha ribaltato le aspettative e dopo un inizio di stagione così così ha scalato la graduatoria grazie a tre vittorie e ben sei podi in tredici gare (timbrando altre tre top 5). Insomma, per gestione e costanza, Dixon è stato indiscutibilmente il migliore.

ALEXANDER ROSSI – 9. Questa è stata la stagione della consacrazione per il giovane #27. Di certo sarebbe piaciuto a tutti vederlo vincere l’iride statunitense. Eppure l’americano ha peccato di incostanza, mancando troppe volte la Top 5 e con gare al di sotto della media. Certo, vanno considerati molti fattori, tra cui le sfortune e il pedaggio di competitività dell’Andretti Autosport. E però non si può non essere soddisfatti dell’ottima stagione di Rossi: ci sarà tempo per rifarsi.

WILL POWER – 8. Ma sinceramente ci si aspettava di più dal #12 del Team Penske, quest’anno capoclassifica del quartetto magico di Roger. L’australiano, tra l’altro, è il vincitore della 500 miglia di Indianapolis e ha sulle spalle una grande esperienza. Un’estate maledetta ha segato le sue chances di vittoria finale, poi abortita quasi del tutto da uno sfortunato problema alla trasmissione accusato a Portland, dopo essere partito dalla pole position. Peccato.

RYAN HUNTER-REAY – 9. Il Campione 2012 ha potuto mietere molto meno di quanto avrebbe meritato. Le noie meccaniche che l’hanno afflitto hanno avuto un impatto pesante in graduatoria: basti dire che senza Wickens a Pocono e i problemi di Gateway quei 16 punti che lo separano dal podio mondiale sarebbero evaporati. E forse adesso non staremmo osannando Rossi…

JOSEF NEWGARDEN – 7,5. Anzitutto, a sua discolpa: quest’anno non è stato l’anno dei motori Chevy. E però dal Campione in carica non ci si aspettava uno zero sulla casella “Podi”, fatta eccezione per le tre vittorie che ha conquistato. A inizio anni sembrava che sarebbe potuto esser parte a pieno titolo della classifica. Nel complesso, un’annata al di sotto delle aspettative ma non negativa. Però con la macchia di non aver fatto la differenza quando, nelle ultimissime corse, l’astronomia lo aveva rimesso in corsa per il titolo. E per quella pole gettata a Toronto…

SIMON PAGENAUD – 6,5. Ancor peggio la stagione 2018 del Campione 2016: il francese, predestinato a fare la Storia dell’America a ruote scoperte secondo alcuni, non ha mai vinto. Pagenaud è anzi apparso spesso in difficoltà, salvo un momento di parziale rinascita a metà anno. Va apprezzata la striscia di piazzamenti in Top 10, ma non può essere lodata.

SEBASTIEN BOURDAIS – 7+. Sono anni che il tetracampione ChampCar dimostra di avere una certa stoffa. Poi l’impressione è che il Dale Coyne non sia mai in grado di offrirgli la macchina giusta per vincere. In classifica pesa molto anche il ritiro a Indianapolis. Comunque il transalpino sembra molto coriaceo: gli auguriamo un pacchetto migliore, per divertici anche noi di più.

GRAHAM RAHAL – 6,5. Diciamocela tutta: da Graham Rahal ci si aspettava qualcosa di più. Il figlio d’arte poteva contare sulla presenza di Takuma Sato nel suo box, nell’anno in cui la Honda andava di più. La stagione non è affatto male, ma sono mancati gli spunti che aveva fatto intravedere in passato.

MARCO ANDRETTI – 6. Ormai da anni ci si interroga sullo stato di forma del nipote d’arte, che ha il sedile nella squadra del padre e però non va a podio da troppo tempo. Marco quest’anno ci ha regalato una stagione agrodolce, con qualche spunto ma non ancora abbastanza. Per l’ennesima volta bisogna rimandare all’anno prossimo il verdetto della verità.

JAMES HINCHCLIFFE – 6. La macchia di Indianapolis è indelebile: per quanto la stagione del #7 abbia avuto un inizio molto incoraggiante, la mancata qualifica a Indy è stato un errore cretino troppo grande per assegnare un 7. E un altro mezzo voto scala per le ultime corse sottotono.

ROBERT WICKENS – 8,5. Solo l’incidente lo scaraventa fuori dalla Top 10 finale. Il canadesino ha battuto il suo ben più navigato compagno di squadra allo SPM, ha costruito due terzi di stagione molto solidi, ha incassato due podi. S’era inserito nella lotta per il titolo. Gli auguriamo una buona guarigione (ha pubblicato un video in cui ringrazia per il sostegno), non vediamo l’ora di rivederlo in pista. Rookie of the Year, ed è ancora troppo poco.

TAKUMA SATO – 6,5. Il giapponese quest’anno aveva un compito un po’ troppo tosto per lui: contribuire alla crescita del Rahal Letterman Lanigan. Ma Sato è fatto così: fa annate più altalenanti delle montagne russe, con risultati deludenti e qualche buon piazzamento che lo risolleva. Basta dire che, con quasi 40 punti in meno del compagno, ha gli stessi podi e Top 5, e una vittoria in più.

ED JONES – 4,5. Definire deludente la stagione del compagno del neo-Campione è dir poco. Mentre Scott Dixon portava la sua Ganassi davanti a tutti e navigava sempre in alta classifica, Jones mieteva un paio di podi e non si piazzava mai in Top 5. Ancora giovane, certo, ma non abbastanza da giustificare un gap superiore alla metà dei punti del compagno (e 12 posizioni di differenza nella classifica finale).

SPENCER PIGOT – 7. Perfino il Team Penske ha incespicato quest’anno: per questo bisogna premiare Pigot, pilota full-time del Carpenter Racing e capace di una buona seconda parte di stagione, nella quale ha addirittura colto un secondo posto in Iowa.

ZACH VEACH – 6,5. Incoraggiante il debutto dell’americano, in prodigiosa crescita nella seconda parte dell’anno. Coglie due Top 5 preziose e lascia intravedere del potenziale. Ma è ancora acerbo, e con un volante Andretti tra le mani poteva fare di più. Per questo, mezzo voto in meno.

TONY KANAAN – 5. D’accordo che ha cambiato team e AJ Foyt non ha avuto e non ha la forza che aveva in passato. Tra l’altro ora ha anche i motori Chevy. Però l’annata di TK doveva e poteva essere migliore. Pesa il ritiro a Indy, ma ci auguriamo che il 2019 dia più soddisfazione.

CHARLIE KIMBALL – 6. Alla fin fine Kimball qualche piazzamento riesce a marcarlo. Si distingue perfino una Top 5 conquistata sulle strade di Toronto (anche se va ricordato che Andretti lì dovette arrendersi a uno splash and go). Non ce la sentiamo di rimandarlo, ma di più non merita.

MATHEUS LEIST – 5,5. Benché alla fin fine la sua stagione non sia stata affatto male, anzi ha dimostrato una certa costanza (mantenendosi sempre poco più giù della Top 10) e si è tenuto fuori da guai… be’, avremmo preferito che almeno una Top 10 fosse riuscito a coglierla. Ci sarà tempo.

MAX CHILTON – 4,5. Il pilota inglese quest’anno ha patito molto la differenza con Kimball. Possiamo concedergli tutte le attenuanti: il team nuovo, il compagno navigato, il motore sbagliato. Ma non possiamo giustificare un’annata tanto sotto tono da un ragazzo che rookie non è.

ED CARPENTER – 5. Forse meriterebbe mezzo voto in più, visto che ha inscatolato la piazza d’onore a Indianapolis. E però il buon Ed corre solo sugli ovali, ne è il grande esperto, e non ha ottenuto altri piazzamenti di rilievo. Ci viene difficile salire, anche se ci fa male dare un voto così.

GABBY CHAVES – 5,5. L’impressione è che l’Harding non fosse in grado di equipaggiare un’automobile più competitiva. Per questo, mezzo voto in più, a una stagione senza acuti e più o meno in linea coi piazzamenti dei diversi e innumerevoli colleghi di team.

JORDAN KING – 6,5. Il debuttante alla guida del Carpenter Racing, precisamente della #21 nelle corse in cui il grande Ed stava in panchina, prende una discreta paga da Pigot ma è apparso in miglioramento. Meriterebbe qualche chance su un ovale.

ZACHARY CLAMAN DE MELO – 4,5. Difficile dare un voto al giovane canadese. Sotto certi versi, la sua stagione è stata molto sottotono e di certo inferiore alle attese. In più, il suo compagno Bourdais l’ha stracciato. E tuttavia d’altra parte ciò che bisogna dire è che il Dale Coyne Racing ha schierato cinque piloti diversi in due macchine (escludendo la #18 sempre in mano a Bourdais) e l’ha appiedato a metà stagione. Va be’, non scendiamo di più.

Menzioni onorevoli

I piloti full-time e part-time sono finiti. Ma la graduatoria continua, infarcita delle partecipazioni una tantum alla Indianapolis 500 e da chi è riuscito a rimediare un volante per due o tre gare al massimo: le wild-card della IndyCar. Non c’è molto da valutare in questi casi. Ma alcuni di loro meritano un voto.

PIETRO FITTIPALDI – 6+. Ci ha mostrato un po’ poco (solo 5 corse su 17) ma ha centrato una Top 10, si è avvicinato una seconda volta (11° a Gateway) e s’è messo dietro Conor Daly. Non so se mi spiego.

PATO O’WARD – 9. Diciamo che questo voto è stato dato di rendita. Il Campione IndyLights deve avere stoffa per aver vinto la serie minore (per quanto non sia particolarmente selettiva). E l’ha confermato con un 5° posto in griglia da paura e un ottimo 9° posto al traguardo a Sonoma. Il tutto alla guida di quell’Harding Racing che poco ha dimostrato di valere quest’anno. Insomma, un risultato meraviglioso che speriamo abbia un seguito l’anno prossimo.

HELIO CASTRONEVES – 8+. Il Re senza Corona d’America, carioca ormai in panchina, si è presentato a maggio dopo mesi d’assenza e ha incassato un 6° posto sulla corsa stradale di Indy ed è entrato nella Fast Nine col motore Chevy. Poi, purtroppo, si è ritirato. Confidiamo che la magia possa ripetersi l’anno prossimo.

DANICA PATRICK – S.V. Impossibile dare un voto “annuale” alla donna più veloce degli States, anche se è stata capace di mettersi dietro Castroneves nelle qualifiche della Indy 500. Resta tanto amaro in bocca, ed è per questo che la menzioniamo: avrebbe potuto emozionare tanto sul catino, ed è un peccato che abbia chiuso la sua bella carriera con un grigio ritiro. Danica, ti prego, ripensaci.





Tags : IndyCar 2018pagelle IndyCarScott Dixon
Marco Di Geronimo

The author Marco Di Geronimo

Nato a Potenza nel 1997, sono appassionato di motori fin da bambino, ma guido soltanto macchinine giocattolo e una Fiat 600 ormai sgangherata. Scrivo da quando ho realizzato che so disegnare solo scarabocchi. Su Fuori Traiettoria mi occupo, ogni tanto, di qualcosa.