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Lausitzring, 15 settembre 2001: il giorno in cui Alex Zanardi ha sconfitto la morte





Sono i primi mesi dell’anno 2000. Nella casa di un pilota italiano, in un giorno apparentemente qualsiasi, squilla il telefono. Prima di sollevare la cornetta ci pensa un po’ su, il 34enne nato a Bologna ed adottato da Castel Maggiore. Sono trascorsi ormai diversi mesi da quando, al termine della stagione 1999 di Formula 1, la Williams ha deciso di appiedarlo per far posto ad un giovane scalpitante, un certo Jenson Button. Mesi che a quel pilota italiano non sono bastati per mandare giù il boccone amaro della delusione, il sapore acre del fallimento. Quel 2000, per quel 34enne, avrebbe dovuto essere un anno di pausa, un anno trascorso lontano dal mondo dell’automobile. Da quel mondo che tanto amava e dal quale brutalmente si era sentito tradito.

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© Alex Zanardi

Ci pensa un po’ su prima di rispondere, Alex Zanardi. Che però alla fine, sorretto dalla fermezza delle proprie convinzioni sabbatiche, solleva la cornetta e si decide ad ascoltare chi attende dall’altra parte del cavo. “Ciao Alex, sono Mo Nunn – sente dire da un oceano di distanza – “Ascolta, volevo farti una proposta: sto organizzando una sessione di test con l’auto della mia scuderia durante il mese di luglio, ed avevo pensato a te come pilota. Ti interessa?. Quando Alex abbassa la cornetta, dei propositi di anno sabbatico non rimane che un flebile eco.

Non si poteva rifiutare una proposta simile, per svariate ragioni. Innanzitutto, Morris Nunn era un amico. Era stato lui l’ingegnere di pista di Alex nel corso della stagione d’esordio in Formula CART, quella del 1996, e sempre lui era stato al fianco del pilota di Castel Maggiore durante le vittoriose annate americane del 1997 e del 1998. In secondo luogo, la Formula CART era un campionato che ad Alex suscitava solamente ricordi dolci, dal sapore totalmente differente rispetto a quelli che la Formula 1 gli aveva lasciato in eredità. Infine, c’era da dimostrare al mondo che Zanardi, una volta calzato il casco in testa, non era affatto il pilota lento e discontinuo che il mondo aveva visto correre nel Circus. E la neonata scuderia di Nunn, nella mente di Alex Zanardi, era all’improvviso diventata il posto migliore al mondo in cui poter dimostrare ciò.

© Alex Zanardi
© Alex Zanardi

Il test di luglio, ovviamente, si conclude con successo. D’altronde parliamo pur sempre di un pilota che non aveva battuto un certo Michael Schumacher nel Campionato Europeo di Kart 100cc solamente perché, nel tentativo di spingere il proprio kart dopo un incidente nell’ultima gara della stagione, era stato bloccato dal padre del pilota che lo aveva speronato. Mo Nunn conosce bene Alex Zanardi. Lo ha visto superare Bryan Herta al Cavatappi, lo ha visto vincere il premio di Rookie Of The Year nel 1996, lo ha visto trionfare in due campionati consecutivi. A Mo Nunn, quando propone ad Alex di correre per lui durante tutta la stagione 2001 di Formula CART, di quello che è accaduto, di quello che la gente ha visto, di quello che la gente ha pensato nel corso dell’infelice parentesi in Williams, non frega assolutamente nulla.

Ma le prime volte, che siano esse per esordio o per ritorno, nascondono spesso delle insidie che non è semplice notare. Per inesperienza nel primo caso, per eccesso di sicurezza nel secondo, ci si ritrova magari a dover fare i conti con dilemmi che non si erano prospettati, con problemi che non si erano previsti, con dubbi che non si erano presentati. Quel 2001 che avrebbe dovuto essere di rivalsa, all’improvviso, per Alex Zanardi si trasforma in una montagna da scalare. Le prime gare della stagione, per il neonato team armato di una Reynard/Honda, sono infatti tutt’altro che semplici: il pilota bolognese fatica spesso a trovare il giusto assetto in prova, venendo così relegato a posizioni di rincalzo sulla griglia di partenza; l’inesperienza della squadra porta a commettere errori di strategia, che vanificano le chance di piazzamenti a punti e podi; le noie tecniche, immancabili quando si parla di esordi, comportano ritiri. Alex sembra essere sprofondato in un baratro senza fine, trascinato sul fondo dalle difficoltà della squadra di Mo Nunn.

© Alex Zanardi
© Alex Zanardi

Però, come disse qualcuno tanto tempo fa, una volta toccato il fondo c’è solamente una cosa che resta da fare: darsi la spinta e risalire. E così, quasi all’improvviso, il binomio formato dal talento bolognese e dalla sua Reynard/Honda inizia a funzionare. I tempi sul giro si abbassano, le strategie migliorano, i ritiri si riducono: nella corsa di Toronto, dopo una prima parte di stagione complicatissima, il 4° posto finale di Alex Zanardi fa ben sperare per il prosieguo del campionato. Un campionato che, per la prima volta nel corso della sua storia, nonostante il suo essere orgogliosamente americano si prepara a lasciare i lidi del Nuovo Mondo per raggiungere il Vecchio Continente, destinazione Germania. Quando il mondo della Formula CART approda al Lausitzring, però, una cappa di dolore aleggia sul circuito. E’ il 12 settembre 2001, e la ferita lasciata da ciò che solamente il giorno prima è accaduto al World Trade Center è troppo dolorosa per essere dimenticata. Si pensa addirittura di annullare la corsa, in segno di rispetto. Poi, alla fine, si opta per un compromesso: la gara del Lausitzring, che originariamente avrebbe dovuto chiamarsi “German 500”, viene rinominata “American Memorial Championship 500”, ed al suo programma vengono aggiunti momenti di cordoglio e di raccoglimento ed una raccolta fondi che porterà ad una donazione di 500.000 $ al fondo dedicato alle vittime del World Trade Center.

E’ il 13 settembre 2001, giorno di prove. Una pioggia incessante tambureggia sul Lausitzring: scendere in pista è impossibile, per la Formula CART. Le ostilità vengono rinviate al giorno successivo, ed il team Mo Nunn Racing nelle prime prove piazza un perentorio 1-2: davanti a tutti si mette un brasiliano, Tony Kanaan; dietro di lui, a poco più di tre decimi, si piazza Alex Zanardi. C’è speranza in vista delle qualifiche, finalmente si può puntare ad una partenza nelle prime file. Il clima tedesco, però, non è d’accordo: nuvoloni grigi si accalcano sul cielo sopra il Lausitzring sin dal pomeriggio del giovedì, e venerdì 14 settembre 2001, nel giorno delle qualifiche, scaricano di nuovo valanghe di pioggia sul circuito tedesco. Le prove, inevitabilmente, vengono di nuovo annullate. Per Alex Zanardi è una notizia ferale: il Regolamento della Formula CART, infatti, prevede che in caso di mancato svolgimento delle qualifiche la griglia di partenza sia determinata dalla Classifica Piloti. Per il 34enne bolognese questo significa dover partire addirittura dalla 23^ casella dello schieramento, lontano un’eternità da dove la sua Reynard/Honda avrebbe potuto portarlo.

E’ il 15 settembre 2001, giorno di gara. Per far prendere più confidenza ai piloti su una pista sconosciuta e poco gommata a causa della pioggia, gli organizzatori decidono di acconsentire ad una sessione di Warm-Up dalla durata di 30′. Ancora una volta è il Mo Nunn Racing a farla da padrone: Tony Kanaan fa segnare di nuovo il miglior tempo, con Alex Zanardi incollato alle sue spalle. A quel punto, il 34enne bolognese capisce che non importa da dove stia partendo: la sua macchina, quel giorno, può permettergli qualsiasi cosa nel corso dei 154 giri previsti per l'”America Memorial”, anche una rimonta impossibile da quella 23^ posizione. Al via si involano nelle prime posizioni Carpentier, Andretti, Tagliani e Franchitti, con un distacco sugli inseguitori che aumenta giro dopo giro. Poi, nel corso del 64° passaggio, viene chiamata in causa la Safety Car ed il gruppo si ricompatta: Zanardi, durante quelle 64 tornate, si è sbarazzato di metà dei piloti che sono davanti a lui. La bandiera verde torna a sventolare nel 70° giro, e le due macchine del Mo Nunn Racing seminano il panico in pista: Kanaan e Zanardi sembrano inarrestabili, ed approfittando di una seconda Caution si portano rispettivamente in prima e seconda posizione nel corso del 95° passaggio. Il brasiliano è veloce, ma l’italiano è indemoniato. Insegue Kanaan, lo raggiunge, lo bracca, lo supera nel corso del 123° giro, prendendosi la vetta della corsa. Poi, nel corso del 142° passaggio, rientra ai box per la sua ultima sosta.

© Motorsport Retro
© Motorsport Retro

Forse un reflusso di carburante finito sulle gomme. Forse una chiazza di olio o di liquido di raffreddamento lasciata dall’auto di un avversario. Forse un errore di valutazione dello stesso Zanardi, che stacca il Pit Limiter troppo presto. Forse un mix di queste cause. Fatto sta che, all’uscita della corsia dei box, Alex Zanardi perde il controllo della propria vettura #66. Va in testacoda, transita sull’erba e poi, senza controllo, finisce di nuovo in pista. Di traverso. In piena traiettoria. Un lampo sfiora l’impotente Zanardi: è Patrick Carpentier, che ad oltre 320 km/h riesce ad evitare l’auto del pilota bolognese. Un altro lampo però, quello azzurro della Reynard/Ford di Alex Tagliani, non riesce nell’impresa del canadese: l’impatto è inevitabile. Accade tutto in un istante: il muso della vettura #33 colpisce con violenza inaudita l’anteriore dell’auto di Zanardi, circa 30 cm al di sotto dell’abitacolo e con un angolo di impatto a tutto svantaggio del pilota italiano, tranciando di netto in due monconi l’auto. E, purtroppo, tranciando di netto anche chi la occupava.

© Fedex CART World Series
© Fedex CART World Series

Alex è vivo. Si guarda intorno, cerca addirittura di slacciarsi il casco, come se la sua mente non volesse ancora metabolizzare quell’impatto atroce, quell’attimo sanguinoso. Poi, su di lui, cala implacabile il buio. “Era una scena devastante: sembrava fosse esplosa una bomba, c’erano pezzi dappertutto”, dirà poi ai microfoni Steve Olvey, medico della Formula CART accorso sul luogo dell’impatto 20″ dopo l’incidente. “Sono arrivato di corsa, e nella fretta sono scivolato su una chiazza di qualcosa che pensavo fosse olio. Solo quando ho visto il rosso sui miei vestiti ho capito che era il sangue di Alex…. Zanardi, quando arrivano le prime ambulanze, ha perso i sensi, entrambe le gambe e rischia di perdere anche la vita. Servono cinture dei pantaloni, lacci, garze improvvisate per cercare di frenare la violentissima emorragia che lo lascia con un solo litro di sangue in corpo, con il cuore che pompa per degli interminabili minuti quasi esclusivamente plasma ed aria. Padre Filippo, il cappellano che seguiva gara per gara il Circus della Formula CART, accorre sul posto disperato. “Era venuto forse per darmi una parola di conforto, ormai eravamo amici” – rivelerà lo stesso Alex qualche anno dopo il suo incidente – “Poi però si è reso conto della situazione e mi ha dato l’estrema unzione…. Il centro medico del Lausitzring, per il pilota italiano, è assolutamente inutile. Il dottor Olvey ne dispone infatti immediatamente il trasferimento in eliambulanza presso l’ospedale di Berlino dove, una volta indotto in coma farmacologico, Alex Zanardi cominciò a lottare non più contro i suoi avversari, non più contro il cronometro, ma contro la morte.

Ci vollero 7 arresti cardiaci, 15 operazioni – tra cui le amputazioni delle gambe – e 4 giorni di coma farmacologico indotto, prima di far capire alla vecchia signora con la falce che semplicemente, contro Alex Zanardi, non c’era storia. 

Ci vollero 1 mese e 15 giorni per dimettere Alex Zanardi, vivo contro ogni pronostico umanamente formulabile, dall’ospedale di Berlino e per consegnarlo ad un lungo processo di riabilitazione affiancato dal dottor Claudio Costa.

Ci vollero 3 mesi e mezzo per vedere Alex Zanardi alzarsi di nuovo in piedi, sulle prime due rudimentali protesi e in un boato di gioia, commozione ed ammirazione, in occasione della cerimonia per la consegna dei Caschi d’Oro di Autosprint.

Ci vollero 20 mesi per rimettere Alex Zanardi su una vettura di Formula CART appositamente modificata e per vederlo completare al Lausitzring – con un tempo che gli sarebbe valso la quinta posizione in griglia per la gara del giorno dopo – quei 13 giri che lo avevano separato dalla bandiera a scacchi appena l’anno prima.

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© Alex Zanardi

E ci vorrebbe invece un libro per descrivere tutto quello che Alex Zanardi, da quel momento, è riuscito a fare della sua vita. Una vita fatta di vittorie nel WTCC, nel Campionato Mondiale Superturismo, nei Mondiali di handbike, nelle Paralimpiadi. Una vita che è rimasta strenuamente attaccata al suo corpo, 16 anni fa, perché sapeva che quel 34enne dal sorriso sincero e dagli occhi azzurri avrebbe ancora potuto fare grandi cose. Una vita che togliendogli tanto, togliendogli quasi tutto, lo ha cambiato rendendolo un modello, un’icona, una fonte di ispirazione. Pur lasciandolo, a detta sua, sempre lo stesso. 

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“Però, Zanardi da Castel Maggiore…”





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow