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Nel mondo dell’automotive esistono marchi che raccolgono più sfide di altri. Molti infatti, una volta trovata la propria nicchia all’interno del listino del nuovo, non osano, non azzardano: restano fedeli ad una tipologia di auto, quasi ritraendosi ogni qualvolta venga loro richiesto di fare qualcosa di nuovo, di gettare il cuore – rectius, il motore – oltre l’ostacolo. Porsche, tuttavia, non è fra questi.

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Il simbolo del marchio di Stoccarda, da diversi decenni ormai, è l’iconica 911. Sportiva, dinamica, filante in tutte le sue serie, è un’auto che ha saputo reinventarsi sempre pur rimanendo ogni volta la stessa. Un’auto che ha conquistato innumerevoli appassionati sparsi in tutto il mondo, che ha creato una vera e propria dinastia e che, dunque, Porsche avrebbe potuto decidere di mantenere come unico – o quasi – e fulgido esempio di quella spasmodica ricerca della prestazione che caratterizza la Casa di Zuffenhausen sin dal giorno della sua nascita. Al fianco della sopracitata 911, tuttavia, nel corso del tempo si sono affiancate auto dalle forme e dimensioni più diverse, alcune delle quali reputate non “in linea” con la tradizione decennale del marchio proprio per via delle linee, reputate meno aggraziate, o delle misure, considerate esagerate per una macchina prodotta da un marchio che si dichiara intrinsecamente sportivo.

E’ questo, ad esempio, il caso della Cayenne Coupe, variante più filante del SUV la cui prima versione è apparsa nel listino di Stoccarda ormai 17 anni fa. Quest’auto, per Porsche, ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà per chissà quanti anni ancora, una sfida: quella di dimostrare che, anche se racchiusa tra le portiere di un’auto lunga quasi 5 m, larga oltre 2, alta circa 1,70 e pesante più di 2 tonnellate, lo spirito sportivo del marchio, quell’essenza che da sempre lo contraddistingue, è rimasto immutato.

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Quella di Porsche con la Cayenne è stata una sfida ovviamente dettata dalle logiche di un mercato andato sempre più alla ricerca di auto che dessero la sensazione di dominare la strada ed i loro occupanti. L’ammiraglia SUV di Stoccarda, giunta ora alla sua terza generazione, quelle logiche di mercato ha dimostrato di saperle soddisfare nel migliore dei modi possibili. Dal 2002 ad oggi di Cayenne ne sono state infatti vendute quasi 865.000 – una media di circa 50.000 vetture l’anno -, ed è stato solamente l’arrivo del più piccino Macan a spodestarla dal trono di modello più venduto della Casa di Zuffenhausen. A Stoccarda, ovviamente, per rispondere alle richieste dei clienti – nuovi, ma magari anche vecchi – avrebbero potuto limitarsi semplicemente a realizzare un’auto più alta da terra. Un’auto, una qualsiasi auto. Loro, invece, sono riusciti a costruire una Porsche.

Non è tanto il posizionamento della chiave di accensione – rigorosamente a sinistra – o la centralità nel cruscotto del tachimetro analogico – incastonato tra due schermi multifunzione da 7″ ciascuno – a rendere la Cayenne Coupe inconfondibilmente Porsche: sono la sua anima, la sua indole, la sua essenza a far sì che si percepisca quanto del DNA di Stoccarda sia stato trasfuso in essa.

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Le vetture del marchio tedesco, sin dalla loro nascita, hanno rapito il cuore di un numero spropositato di appassionati grazie alla loro mai pareggiata capacità di possedere due identità, diametralmente opposte ma mai come sulle auto di Zuffenhausen così complementari. Da una Porsche, infatti, ci si attende una certa qualità a livello degli interni, che possa far apprezzare il comfort di guida quando si decide di non pigiare con troppa convinzione sul pedale dell’acceleratore. E allora ecco che con il pacchetto Sport la Cayenne Coupe si impreziosisce con corona del volante e cielo rivestiti in Alcantara – che fa da contraltare allo splendido tetto esterno in carbonio, optional rispetto al vetro panoramico proposto di serie -, che i sedili in pelle e tessuto (la cui trama richiama gli interni della 911 R) ventilanti e riscaldabili accolgono comodamente chiunque salga a bordo, che lo schermo da 12″3 del PCM fornisce agli occupanti tutte le informazioni necessarie sull’auto, che il bagagliaio nonostante la linea spiovente del montante C mantiene una capacità di carico invidiabile (650 l, che possono diventare 1.540 con il divanetto posteriore completamente abbassato) e che, per garantire la maggior comodità possibile anche per chi siede dietro, l’intera seduta posteriore è stata abbassata di 30 mm per far fronte all’abbassamento di 20 mm subito dalla linea del tetto. Materiali piacevoli al tatto e superfici levigate completano l’opera, permettendo così alla Cayenne Coupe di ricoprire senza alcun problema la prima identità che si richiede ad un’auto del marchio di Stoccarda.

Ad una Porsche, tuttavia, non si è mai chiesto di essere solamente comoda o ben rifinita, anzi. Da tutte le vetture partorite dall’azienda di Ferdinand Porsche, infatti, si pretende un’ulteriore caratteristica: la sportività.

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Ora, la sportività è per me un concetto relativo. Certo, ci sono auto che sono sportive in senso assoluto, ma la sportività è un qualcosa che può annidarsi anche lì dove non ce lo si aspetterebbe. Sportività vuol dire saper offrire prestazioni migliori rispetto alla diretta concorrenza – che, per chi non lo avesse a mente, nel caso della Cayenne Coupe non è una Ferrari 488 GTB -, vuol dire trasmettere sensazioni più vive e più vivide, vuol dire poter fare in maniera più veloce, più precisa, più aggressiva cose che tutti fanno in un modo ma che nessuno sa fare come te.

La Cayenne Coupe, in questo senso, è intrinsecamente, visceralmente, inconfondibilmente Porsche. Il 4.0 V8 biturbo da 550 CV e 770 Nm della variante Turbo ti sconvolge per la sua potenza, ti incalza con il suo ringhio rabbioso, il Porsche Dynamic Chassis Control ti stupisce per la sua capacità di diminuire all’inverosimile il rollio di un’auto mastodontica, le quattro ruote sterzanti donano un’agilità insospettabile, il Porsche Traction Management ripartendo la coppia motrice sui due assi in base alle necessità ti rassicura per la sua capacità di trovare sempre trazione in combinazione con il Porsche Torque Vectoring, i freni carboceramici – così come quelli in carburo di tungsteno – ti sconvolgono per l’apparente facilità con cui arrestano la velocissima corsa di oltre 2 tonnellate di automobile, le tre camere d’aria del Porsche Active Suspension Management stupiscono per come riescano a rendere l’auto più rigida e più affilata non appena con il manettino si passi dalla modalità “Normal” alla “Sport +” passando per la “Sport”: non c’è un aspetto, nella dinamica di guida della nuova Cayenne Coupe (supervisionata dal Porsche 4D Chassis Control, che orchestra ed armonizza tutti i vari sistemi elettronici), che non sia pensato per garantire il massimo livello di sportività possibile per il segmento a cui quest’auto appartiene.

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Massa e dimensioni sfumano nel limbo dell’insignificanza man mano che le curve si susseguono una dietro l’altra, con il respiro rabbioso del V8 che va al ritmo dell’innalzamento ed abbassamento dell’ala posteriore attiva e con la mente che fatica a comprendere razionalmente come sia possibile, per una vettura dotata di quella mole, raggiungere prima e mantenere poi velocità così alte in sezioni anche tortuose, con un’indole aggressiva che scema solamente – senza mai scomparire del tutto – quando si passa alla versione dotata del 3.0 V6 da 340 CV, più pacato del V8 ma pur sempre dotato di un corposo brio.

E’ questo che intendo quando sostengo il fatto che la Cayenne Coupe sia una vera Porsche. Sono infatti ormai diversi i SUV che ho avuto modo di provare, e nessuno di loro ha saputo neppure offrirmi ciò che quest’auto è invece riuscita a darmi. Nessuno mi ha fatto percepire, pur avvolto in un guscio di pelle ed Alcantara, il calore prodotto da un V8 rabbioso, nessuno mi ha dato la sensazione di poter alzare l’asticella del limite di curva in curva, nessuno mi ha regalato la sensazione di dominare l’asfalto e la strada con la stessa imponenza, facilità e potenza con cui riesce a farlo la Cayenne Coupe. E sapete perché? Perché tutti loro erano SUV, ma nessuno di quei SUV era una Porsche.

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Ecco il video della prova:





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow