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La strana storia delle “qualificazioni d’ufficio” del 1970





Andiamo alla riscoperta di uno dei format di qualifica più strani della storia della Formula 1, quello del 1970, quando alcuni piloti erano ammessi alla gara d’ufficio anche se avessero fatto registrare un tempo più alto dei rivali.

In questo periodo di motori spenti si parla tanto di Sprint Race. Queste gare corte sarebbero una delle proposte sul tavolo di Stefano Domenicali, attuale capo della F1, per cercare di ravvivare lo spettacolo nella categoria regina delle quattro ruote, e di base consisterebbero in una gara più breve di quella della domenica da disputare al sabato pomeriggio, al posto delle canoniche qualifiche, e che determinerebbero la griglia di partenza per il Gran Premio vero e proprio. Una proposta criticata da molti, anche se non sono ancora ben chiare tutte le modalità con cui verrebbe attuata. Se dovesse venire confermato, sarebbe l’ennesimo sistema adottato dalla Formula 1 per attribuire le posizioni alla partenza della gara della domenica: dalle due sessioni di un’ora al venerdì e al sabato, in uso dal 1950 al 1995, all’unica sessione con un massimo di dodici giri a pilota dal 1996 al 2002; dal giro secco del 2003 alla somma dei tempi usata nelle prime gare del 2005; dalle manche Q1, Q2 e Q3 in uso dal 2006, alle ridicole qualifiche ad eliminazione usate nelle prime due corse del 2016. Tuttavia, per quanto ognuno di questi format avesse i suoi pregi e i suoi difetti, nessuno è terribile quanto l’idea che adesso andremo a raccontarvi. Per scoprirla, però, dobbiamo fare un passo indietro di circa 50 anni.

GP di Spagna 1970, Jackie Stewart osserva dagli specchietti il rogo della BRM di Jackie Oliver
GP di Spagna 1970, Jackie Stewart osserva dagli specchietti il rogo della BRM di Jackie Oliver

Siamo nel 1970, la ventunesima stagione da quando esiste la Formula 1. Il campione in carica è Jackie Stewart, che l’anno precedente si è imposto per la prima volta al volante di una Matra. Proprio il pilota scozzese è uno dei paladini della sicurezza: i primi vent’anni, infatti, sono stati caratterizzati da un numero impressionante di incidenti mortali, in cui sono stati coinvolte numerose persone tra piloti, addetti ai lavori e tifosi: dalla morte di Collins al Nurburgring a quella di Musso al Reims; dalla tragedia di Von Trips a Monza, al rogo di Bandini a Montecarlo, solo per citare i più famosi. E questo solo in ambito F1, nelle altre categorie il bilancio è ancora più drammatico. Sul finire degli anni ’60, la Formula 1 inizia a prendere consapevolezza di quanto sia pericolosa, e inizia una, seppur lenta, marcia verso la ricerca della sicurezza, anche a costo di sacrificare le prestazioni. Nel 1970, ad esempio, viene introdotto l’obbligo per i partecipanti di indossare i caschi integrali, in sostituzione degli obsoleti caschi a jet in uso fino all’anno prima. E, inoltre, vengono modificati i limiti di auto ammesse alla gara: a seconda del circuito e della sua pericolosità, saranno ammesse alla corsa un numero di vetture comprese tra un minimo di 16 e un massimo di 24. Quello della tagliola era un sistema odiato dai piccoli team, molto frequenti in quel periodo, che andavano in circuito senza sapere neanche se la domenica avrebbero corso, ma non di rado capitava che venissero esclusi anche nomi eccellenti, vittime magari di problemi nel corso delle qualifiche. L’assenza dei piloti di alto calibro era un problema per gli organizzatori delle gare, le quali perdevano di attrattività nei confronti del pubblico presente sugli spalti, nonché per le televisioni, che in quel momento iniziavano a portare i Gran Premi nelle case degli appassionati. Per ovviare a questo problema, nel 1970 si raggiunse una soluzione senza precedenti: quella di ammettere “d’ufficio” un numero variabile di piloti, quelli considerati i migliori dagli organizzatori, a scapito di altri che si erano guadagnati il posto in griglia con il cronometro. Proprio così, una mossa che andava a minare il criterio della meritevolezza, che dovrebbe essere alla base di ogni sport.

 

Il sistema venne introdotto per la prima volta in Spagna, al Montjuic, teatro della seconda gara del campionato. E, ovviamente, non mancarono polemiche, soprattutto da parte dei piccoli team: la critica più accesa fu quella di Frank Williams, allora patron della De Tomaso, che definì questa regola “Antidemocratica”. Per quella gara vennero qualificati d’ufficio dieci piloti: Jackie Stewart (March), Denny Hulme (Mclaren), Jack Brabham (Brabham), John Surtees (McLaren), Graham Hill (Lotus), Jochen Rindt (Lotus), Chris Amon (March), Jean-Pierre Beltoise (Matra), Pedro Rodriguez (BRM) e Jacky Ickx (Ferrari). Gli altri dodici piloti avrebbero dovuto giocarsi i posti rimanenti. Questo comportò che Graham Hill, che aveva distrutto la macchina nelle prove del sabato, potè comunque qualificarsi al via della gara, nonostante avesse fatto registrare un tempo in teoria non valido.

A peggiorare le cose fu la disorganizzazione dei commissari spagnoli: infatti, fino al sabato sera, ben oltre la fine delle qualifiche, non venne comunicato il numero di piloti ammesso alla gara, lasciando sul filo tutti coloro che non rientravano tra i dieci, tra cui Mario Andretti e Andrea De Adamich. Inoltre, i cronometristi si persero addirittura alcuni tempi fatti segnare dai piloti, generando un clima di grave incertezza. Finalmente, la domenica mattina venne comunicato che gli ammessi al via sarebbero stati diciassette. Questo portò all’esclusione di diversi piloti, tra cui Andrea De Adamich con la McLaren, John Miles con la Lotus e Jo Siffert con la McLaren, che avevano ottenuto tempi validi per la dodicesima, la quattordicesima e la quindicesima posizione in griglia, ma che erano stati scartati. Nel circuito si generò il panico: gli organizzatori della corsa, che premevano per la partecipazione alla gara dell’idolo locale Alex Soler-Roig (Lotus), fecero girare nel paddock una petizione per escludere le vetture qualificate d’ufficio e ammettere i tre piloti eliminati e lo spagnolo. A pochi minuti dalla corsa non si sapeva chi avrebbe corso, e i quattro piloti “illegali” si schierarono in griglia di partenza, nel mezzo di un vero e proprio braccio di ferro tra la CSI (la Federazione) e gli organizzatori della corsa, guidati dal conte Villapadierna. A spuntarla fu la prima, che decise di ricorrere alla Guardia Civile per bloccare i quattro “illegittimi” ai cancelli di partenza. Lo svizzero Siffert provò ad opporsi, ma venne portato via di peso dalla Polizia Franchista. Il primo tentativo di questo esperimento da parte della Federazione finì quindi nel caos più totale.

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Un mese dopo a Montecarlo si ripeté lo stesso copione. Anche stavolta vennero qualificati d’ufficio i soliti dieci, ma almeno venne chiarito fin da subito che i partenti sarebbero stati sedici, come avveniva dal 1955. Con ventuno piloti presenti, era chiaro quindi che ci saranno solo sei posti disponibili per gli altri undici. Il sabato però sopraggiunse un altro problema: un violento acquazzone si abbatté sulla pista, impedendo ai piloti di migliorarsi e di qualificarsi. L’Automobil Club di Monaco fece quindi la proposta shock: una gara sprint da 23 giri tra gli undici piloti in ballo, con i migliori sei che sarebbero stati ammessi al GP. Già cari signori miei di Liberty Media, non vi siete inventati niente. La proposta venne però bocciata dai corridori, e alla fine si riuscì comunque ad organizzare una sessione di mezz’ora. Alla fine, la pole la ottenne Stewart, ma quel che c’interessa avvenne nelle retrovie: Rolf Stommelen e De Adamich fecero segnare tempi che li avrebbero portati in dodicesima e tredicesima posizione, mentre Johnny Servoz-Gavin sarebbe stato sedicesimo: vengono però ripescati John Surtees, Jackie Oliver e Pedro Rodriguez, escludendo i tre che si erano guadagnati il posto sul campo. Soprattutto, venne escluso ancora una volta De Adamich, che già in Spagna aveva vista vanificata la sua bella prestazione per questa assurda regola.

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Nel successivo GP di Spa si decise di ammettere i piloti indistintamente, ma la qualificazione d’ufficio tornò il 21 giugno a Zandvoort, sede del GP d’Olanda. Anche stavolta, i piloti ammessi di diritto furono dieci, con Gurney al posto di Hulme, con venti posti disponibili e ventiquattro piloti presenti. E anche stavolta, incredibile ma vero, a rimetterci fu ancora il povero De Adamich: il pilota italiano riuscì a far registrare il ventesimo e ultimo tempo valido, ma incredibilmente per la terza volta dovette cedere il suo posto a Graham Hill, che aveva fatto segnare il ventunesimo tempo. Una sfortuna incredibile per il futuro commentatore della F1, ancora una volta tradito da un regolamento terribilmente ingiusto.

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Infine, l’ultima gara in cui venne usata questa regola fu il GP di Germania, disputato per la prima volta ad Hockenheim. Stavolta però si toccò davvero il fondo: con venticinque macchine presenti e ventuno ammessi al via, vennero assegnati d’ufficio ben 20 (VENTI!) posti. Esclusi solo Ronnie Peterson, Brian Redman, Andrea De Adamich, Silvio Moser e Hubert Hahne. E indovinate anche stavolta chi restò fregato? Esatto, proprio De Adamich, che riuscì a conquistare la ventunesima posizione al filo con Graham Hill, mentre Peterson e Redman furono diciannovesimo e ventesimo. Lo svedese fu però l’unico dei tre a qualificarsi, mentre l’inglese e l’italiano furono costretti ancora una volta a guardarsi la gara da spettatori.

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E finisce qui. Nelle restanti cinque gare del campionato il meccanismo dei qualificati d’ufficio non venne più riproposto, e nel corso degli anni seguenti non se ne parlò mai più, probabilmente per una sorta di (giustificata) vergogna da parte di chi si occupava dello sport. Certo, nel corso del tempo la Formula 1 ha avuto cambi regolamentari discutibili, ma probabilmente questo è il peggiore di tutti. Immaginate se oggi Lewis Hamilton, Sebastian Vettel, Fernando Alonso e Kimi Raikkonen, in quanto campioni del mondo, venissero fatti partire a prescindere nelle prime due file, lasciando gli altri sedici a lottare per un piazzamento dalla quinta posizione in giù. Sarebbe inconcepibile. Perciò, miei cari lettori, possiamo rassicurarci con questo pensiero: in fondo, il peggio è passato. O no?





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Alfredo Cirelli

The author Alfredo Cirelli

Classe 1999, sono cresciuto con la F1 commentata da Mazzoni, da cui ho assorbito un'enorme mole di statistiche non propriamente utili, che prima che Fuori Traiettoria mi desse la possibilità di tramutarle in articoli servivano soltanto per infastidire i miei amici non propriamente interessati. Per FT mi occupo di fornirvi aneddoti curiosi e dati statistici sul mondo della F1, ma copro anche la Formula E (categoria per cui sono accreditato FIA), la Formula 2, la Formula 3, talvolta anche la Indycar e, se ho tempo, anche tutte le varie formule minori in giro per il mondo.