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Le Vespe del deserto: storia dell’equiPiaggio che nel 1980 sfidò la Dakar





Dakar. Una capitale come molte altre ce ne sono al mondo, per tanti. Una gara tra le più crudeli, spietate ed affascinanti della storia, per gli appassionati di Motorsport. Un traguardo, per i pochi che dietro ad un volante o in sella ad una moto decidono di sfidare distese interminabili di sabbia, terra, fango e rocce per andare alla ricerca della gloria.

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Siamo nel 1980, agli albori dell’epopea africana di quello che con il passare del tempo sarebbe diventato il Rally Raid più famoso del mondo. E’ la seconda edizione della folle corsa desertica che ancora portava il nome Parigi – Dakar, ed è un’edizione che come tante di quelle successive non si fa scrupoli nei confronti dei piloti: kilometri e kilometri di sole cocente, sabbia ardente e fatiche indicibili attendono i coraggiosi che avranno cuore di sbarcare su di un Continente Nero che li attende nell’ombra, pronto per trascinarli nell’oblio non appena abbasseranno la guardia.

Solamente i mezzi più tecnologicamente avanzati e meglio preparati dell’epoca si schierano ai blocchi di partenza della corsa, il 1° gennaio 1980. Solamente i più veloci ed esperti piloti si accingono ad affrontare una sfida indicibile, presentandosi al Trocadero per sfilare dinanzi al pubblico parigini. Solamente loro e…quattro Vespe.

“Percorrere il deserto ed alcuni tracciati africani in Vespa è già di per sé un’avventura delicata, ma farlo in una corsa, per di più spalla a spalla con altri concorrenti che dispongono di mezzi meglio adeguati per questo tipo di competizione, è la vera scommessa di Vespa“. A parlare così, con questo tono da adorabile e lungimirante visionario, è Jean-François Piot, ex pilota di rally che nel 1979 era stato responsabile dell’attività sportiva di Honda Europa e che in quell’ormai lontano 1980 ricopriva lo stesso ruolo in seno alla Piaggio. Era stato infatti Piot a far partecipare delle Vespe alla “Croisiere Verte” e nel “Tour de France” motociclistico, ed era stato lo stesso francese a farsi balenare in mente la pazza idea di far correre la Parigi – Dakar a quattro Vespe appositamente preparate per valorizzare ancor di più il prodotto simbolo della Piaggio.

Piot ha le idee chiare sin dall’inizio, sia sui piloti sia su come catalizzare l’attenzione della stampa. Le quattro Vespe P200E – la scelta era ovviamente ricaduta sulla versione più avanzata dell’epoca – sarebbero infatti andate ad Yvan e Bernard Tcherniavsky (rispettivamente collaudatore di Piaggio e 3° classificato nella “Croisiere Verte”), a Marc Simonot (vice-campione francese di Enduro) ed a Bernard Neimer (che nell’edizione 1979 della Parigi – Dakar aveva centrato l’8° posto assoluto in sella ad una Honda 250 XLS), mentre per attirare penne internazionali Piot ebbe un’idea decisamente brillante: il francese decise che a supporto delle Vespe ci sarebbero stati 5 Land Rover, quattro dei quali assegnati a ciascuna delle P200E ed uno invece che avrebbe svolto la funzione di officina semovente venendo caricato sino all’inverosimile di pezzi di ricambio.

A bordo di ognuno di questi Rover, oltre ad un meccanico della Piaggio, avrebbero trovato posto un giornalista ed un…pilota professionista, il cui nome e curriculum avrebbero dovuto ulteriormente attirare l’attenzione della stampa. Piot muove le sue pedine, ed oltre a sé stesso ed a François Brebant – responsabile marketing di Piaggio France – riesce a mettere dietro al volante dei Land Rover Jean-Pierre Hanrioud (vincente nel Campionato europeo Rally), René Trautmann (pluri-campione europeo e francese nei rally) ed Henri Pescarolo, il cui nome faceva già eco con quello di Le Mans. A questo punto, la scacchiera è pronta: a Piot ed alla Piaggio non restava che prendere definitivamente coraggio ed iniziare a giocare una partita che sembrava impossibile sin dal suo inizio.

Il francese, per riuscire a portare a termine un’impresa memorabile, non lascia davvero nulla al caso: sa bene che l’ordine di partenza della Parigi – Dakar prevede che siano le moto a scattare prima delle auto, e quindi si rende subito conto che per evitare che le Vespe si ritrovino in grave difficoltà sin dai primi km è necessario tenerle il più vicino possibile ai Rover di assistenza. Per centrare questo obiettivo c’è solamente una strategia da attuare: mandare a spasso a ritmo turistico le Vespe nel corso del Prologo della corsa da Parigi ad Olivet – quello che assieme alla tappa di trasferimento per Sété avrebbe poi determinato l’ordine di partenza nelle prove africanecon i Land Rover non preparati da gara che avrebbero dovuto invece bruciare l’asfalto per partire il più avanti possibile nella classifica dedicata alle auto.

Si verifica così una situazione surreale, con i piloti delle Vespe che si affiancano spesso per conversare e che si dispongono in fila indiana per far passare i motociclisti alle prese con il cronometro mentre i piloti dei Rover di assistenza sgomitano contro i mezzi in gara per conquistare le posizioni di testa, ma alla fine il piano di Piot viene attuato: le Vespe #5, #6, #7 e #8 scatteranno in Africa rispettivamente dalla 199^, 200^, 201^ e 202^ posizione (su 204 partecipanti), mentre i Rover partiranno dalla 11^, 12^, 18^, 38^ e 153^ piazza nella classifica riservata alle auto, potendo quindi rapidamente raggiungere le Vespe e fornire loro eventuale assistenza.

Assistenza che, una volta iniziate le ostilità sportive in Africa, si rivela da subito fondamentale per le quattro P200E. Le modifiche apportate negli stabilimenti di Pontedera, volte tra le altre cose a rinforzare alcune parti delle Vespe, ad alleggerirne il motore ed a dotarle di un serbatoio supplementare per aumentarne l’autonomia, avevano infatti sottovalutato l’asprezza degli sconnessi fondi africani: a cedere in sequenza, su tutte e quattro le P200E, sono i silent-block, i tamponi ed i supporti degli ammortizzatori posteriori, che annullando lo spazio fra le lamiere ed i pneumatici causano lo sfregamento di questi ultimi portandoli alla foratura. A nulla servono le gomme ed i cerchi da 12″ appositamente preparati per l’occasione: i due Tcherniavsky, Simonot e Meiner cadono a ripetizione per via di pneumatici dechappati, forati, esplosi e gli uomini dei Land Rover – spesso attardati nelle operazioni di assistenza perché incappavano in una Vespa diversa rispetto a quella a cui erano stati originariamente assegnati – sono costretti a sostituire gomme una dopo l’altra fino al bivacco di Gao, luogo di riposo per la carovana della Dakar.

A Gao, oltre al momento in cui poter tirare un minimo il fiato, arrivano anche gli agognati pezzi rinforzati, che nel corso della seconda settimana di gara dovrebbero consentire alle 4 Vespe di viaggiare con qualche difficoltà in meno sull’aspro terreno africano. Altri 7 giorni di corsa disputati come i primi 7, infatti, farebbero rimanere ben poco dell’iniziale equipaggio che ha lasciato speranzoso Parigi poco tempo prima: il materiale di ricambio iniziava pericolosamente a scarseggiare, Bernard Tcherniavsky si era addirittura ferito ad una spalla cadendo nel corso della seconda speciale africana e la sabbia metteva implacabilmente in luce l’inadeguatezza dei mezzi, costringendo piloti di Vespe e Rover a fermarsi ripetutamente per rialzare, riparare, sollevare e spingere le piccole motorette della Piaggio.

Il cronometro, ovviamente, era l’ultimo dei problemi: le 4 Vespe dovevano solamente preoccuparsi di non arrivare al traguardo di una prova dopo che fosse già partita la tappa successiva, dato che commettere quest’infrazione avrebbe significato l’essere automaticamente esclusi dalla Dakar e non poter quindi arrivare fino alla capitale senegalese. Le P200E, tuttavia, misero a dura prova tutti gli equipaggi anche da questo punto di vista: Bernard Tcherniavsky ad esempio, a causa di problemi tecnici che rallentarono ulteriormente la marcia della sua Vespa, arrivò al traguardo della tappa di Niamey alle 08:20 del mattino, con la partenza della prova successiva fissata alle…08:30. In più, il correre di notte espose i piloti delle Vespe ad un altro grosso rischio: i fari delle P200E si stavano rivelando clamorosamente insufficienti per illuminare il cammino nella buia notte africana, e quindi tutti i piloti dovevano fare affidamento sulle luci dei Rover di assistenza, costretti a viaggiare talmente a ridosso delle Vespe da rischiare più e più volte di investire i piloti a seguito di cadute o rallentamenti improvvisi per via di un ostacolo.

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© Dakardantan

E’ però solamente nel corso della seconda settimana della corsa che si assiste al primo ritiro tra le fila dell’equiPiaggio di Vespe. Yvan Tcherniavsky infatti, non visto dai Rover di assistenza, imbocca per errore una pista parallela a quella giusta e dopo diverse cadute, ormai esausto e privo del supporto del suo team, decide di alzare bandiera bianca e di ritirarsi definitivamente dalla corsa. La sua Vespa non è però l’unica ad andare in difficoltà nel corso dei secondi 7 giorni della gara: la P200E del veloce Neimer, che sin dalla prima speciale stava mettendo duramente alla prova il suo mezzo, cede di schianto a poche tappe di distanza dall’agognato traguardo di Dakar. A tradire il francese, giunto 8° assoluto nell’edizione precedente della corsa, è il telaio, che dopo una delle tante rovinose cadute si rompe a livello dello scudo lasciando Neimer di fronte ad un bivio: seguire il destino di Yvan Tcherniavsky e ritirarsi dunque dalla Dakar oppure tentare di continuare la corsa in modo improvvisato. Il francese, ovviamente, non ci pensa su neppure per un secondo: attende che arrivi il Rover di assistenza, ordina ai meccanici di saldare a mo’ di supporto una sbarra di ferro tra lo scudo e la base della sella e riparte ventre a terra nel tentativo di raggiungere la sempre più vicina capitale senegalese.

Alla resistenza di Neimer non fa però purtroppo eco quello della sua rammendata P200E, che si spezza definitivamente in due dopo qualche manciata di km facendo quindi registrare il secondo ritiro tra le fila del team italiano. All’alba dell’ultima speciale, dunque, delle quattro Vespe partenti ne rimangono in vita solamente due: quella dell’infortunato Bernard Tcherniavsky e quella di Marc Simonot. Davanti alle due P200E superstiti ci sono da percorrere solamente poche decine di km sulla spiaggia di Dakar, ma quelle poche decine di km sono comunque sufficienti per mandare al tappeto la terza delle quattro Vespe partenti. Tcherniavsky infatti, che dopo l’infortunio rimediato nella seconda tappa aveva preferito la costanza di rendimento alla velocità, sentendo ormai il profumo del traguardo e vedendo davanti a sé una nuvola di sabbia sollevata da alcuni concorrenti che lo precedevano a breve distanza, getta il cuore oltre l’ostacolo e si lancia a tutto gas all’inseguimento dei suoi più vicini avversari.

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© Dakardantan

Uno sforzo, quello di essere spremuta fino all’ultimo CV, che il motore della Vespa non regge: la P200E #5 di Tcherniavsky grippa a pochi km dall’agognato traguardo. Le riparazioni vengono effettuate a tempo di record, si tenta il tutto per tutto ed alla fine la Vespa #5 riparte. Ma era destino che anche la terza delle P200E non dovesse tagliare con le proprie ruote il traguardo della capitale senegalese: a soli 5 km dall’arrivo infatti il motore della Vespa di Tcherniavsky grippa di nuovo, danneggiandosi questa volta in maniera troppo grave per poter essere riparato e costringendo il pilota a transitare all’arrivo – figurando come 5° dei non classificati – con…la Vespa caricata sul retro di uno dei Land Rover di assistenza.

Fortuna, preparazione fisica ed audacia vollero quindi che fosse Marc Simonot, il più giovane tra i quattro piloti imbarcatisi nell’impresa voluta da Piot e da Piaggio, l’unico a completare la mitica traversata Parigi – Dakar a bordo di una Vespa. Il giovane francese infatti transitò a bordo di una P200E malconcia ma funzionante sul traguardo di Dakar, e dimostrò ad un mondo sportivo che nel corso della gara aveva mostrato smisurato affetto ed interesse per l’impresa delle Vespe che sì, muoversi da Parigi a Dakar utilizzando l’iconica motoretta della Piaggio era possibile.

© DPPI
© DPPI

Con 3 mezzi ritirati sui 4 inizialmente partenti la sfida accettata da Jean-François Piot potrebbe sembrare persa, agli occhi di alcuni di voi. Nulla di più sbagliato: il manager francese aveva gestito anche i ritiri in maniera sapiente – vi basti pensare che il Rover di Pescarolo, rimasto senza pilota da assistere a causa del prematuro ritiro di Yvan Tcherniavsky, venne utilizzato per trasferire quanti più giornalisti possibili nell’attesa dell’arrivo di Simonot -, e l’aumento delle vendite di Vespa in Francia (stimato attorno al 160%) seppe dare ampiamente ragione al visionario Piot, uomo capace di rendere ancora più iconica una leggenda.

Leggenda che, nell’immaginario francese, è ancora oggi più viva che mai. Semmai infatti capitaste in terra d’Oltralpe e vi trovaste di fronte ad una Vespa PX munita di una sella singola in luogo di quella doppia, provate a chiedere il perché di questa scelta. Perché qualcuno, nel corso degli anni, a questa domanda si è sentito rispondere in modo deciso, netto e perentorio: “La montiamo in ricordo dell’exploit delle Vespe alla Dakar!”.





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow