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Prima di salire in moto ci si allaccia il casco, un gesto semplice. In quegli istanti una piccola vocina, flebile, si fa spazio nella mente. “Speriamo pure questa volta di slacciarcelo, dopo”.
È una questione di decimi, poi cali la visiera e tutto passa, con le pulsazioni della moto che ti entrano fino al midollo rincuorandoti. Perché andare in moto, e su due ruote in generale, significa far entrare senza paura tutta una serie di rischi nella propria vita. Iniziare una partita a scacchi col fato ogni volta che si allaccia il casco.

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Servirebbero mille occhi ed ancora non basterebbero. La chiazza d’olio invisibile in curva con l’auto che ti sta francobollata dietro, il bauscia che parla al telefono. Chi si fionda in rotonda senza considerare la dinamica di un mezzo a due ruote, chi nel senso opposto sorpassa dove non si dovrebbeché tanto la moto è stretta e si sposta sulla riga a lato“. il bus che invade la tua corsia in curva.
C’è quello che piove, sull’asfalto c’è un dito d’acqua e deve mettere mezzo muso fuori dalla linea dello Stop, d’improvviso. Giusto per farti stringere le chiappe e farti lavorare la leva del freno anteriore tanto delicato come una farfalla che si poggia su un fiore, quanto fulmineo come il battito d’ali d’un colibrì.

C’è quello che lo sorpassi, dove la segnaletica lo permette, e lui dà gas alla sua utilitaria pendendo verso sinistra, prima per chiuderti e cominciando poi a starti francobollato al culo. Prova ad imitare Gandalf ed il suo “Tu non puoi passare!” ma purtroppo si rivela solamente per quel che è: un povero coglione frustrato.
C’è il guasto meccanico: le farfalle che restano aperte, il motore che si rompe e ti sporca d’olio il posteriore, i freni che decidono di funzionare come vogliono loro.
Poi ci sono le buche e l’asfalto aggrovigliato dalle radici degli alberi che accompagnano il nastro bituminoso. Non è facile essere motociclisti in Italia.

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Ad andare in moto si vivono emozioni bellissime, tanto al trotto quanto facendo la sparata. Ci si sente parte stessa del mezzo meccanico, in una danza pari al tip-tap nei cambi di direzione stretti. Una danza fisica e metafisica che anima il freddo metallo. Ma salire su una due ruote è anche una danza con il rischio, tanto in strada quanto in pista.
Parlo di due ruote in generale, che si vada in scooter o in moto, sempre su una superficie d’appoggio inferiore a quella di una carta di credito si viaggia. Ed è da qui che nasce il legame forte tra motociclisti, sedotti tutti dalla stessa passione e stretti da una solidarietà infinita.

Negli ultimi anni, rimanendo sulle due ruote, abbiamo visto morire Kato, Tomizawa, Simoncelli, Antonelli e Salom. Abbiamo visto Rainey e Lascorz costretti alla sedia a rotelle. Ogni volta una fitta dolorosa al cuore. Non saranno gli ultimi e sono solo quelli più in vista, che per primi vengono in mente. Purtroppo ce ne sono molti altri, anche amici o parenti sconosciuti ai più. Nonostante i grandissimi passi avanti in termini di sicurezza, vedasi la caduta di Pirro.
Allora sentir augurare la caduta o addirittura la morte ad un pilota, come nulla fosse, fa ribollire il sangue nelle vene.

Non siete né motociclisti né appassionati, siete solo feccia, erbaccia da estirpare. Gentaccia che andrebbe portata a fare un TSO: Trecento Sberle Orarie.

Non tutti hanno il diritto di parlare di Motorsport. Sì, uscitevene citando Voltaire ed il “Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo” che manco ha mai detto direttamente il buon François-Marie. Fu una sintesi di un discorso ben più articolato, fatta 128 anni dopo la sua morte, il quale sottendeva la conoscenza dell’argomento trattato. Sì, pure Voltaire vi rivoltairebbe la faccia a sberle.

Passino i fischi, tutto il Mondo purtroppo è paese. Ma certe scene raccapriccianti si vedono solo in Italia. Solo al Mugello. Guai se ti azzardi anche solo ad entrare con il cappellino di un pilota che non sia italiano. È il momento di dire basta.
Cosa facciamo? Togliamo il Mugello dal calendario o estirpiamo l’erbaccia?

È un obbligo affrontarli, faccia a faccia senza paura tanto non hanno le palle. Sono ultras da stadio mancati, appunto perché non hanno le palle per stare in curva.
Nemmeno sanno come sia fatta o come si guidi una motocicletta, di cosa sia il motociclismo. Degli stronzi il cui unico scopo nella vita è quello di odiare qualcuno.
Comunque vada, il Motociclismo non ha bisogno di loro.

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Mi scuso se per una volta non sono stato politically correct e se son volate alcune parolacce in questo testo. Ma infine, ci chiamiamo Fuori Traiettoria per qualcosa.





Filippo Gardin

The author Filippo Gardin

Padovano classe 1993, ho iniziato a 2 anni a guidare, in quel caso una mini-replica della moto di Mick Doohan e da lì non mi sono più fermato. 2 e 4 ruote, entro e fuori strada e anche pista: cambiano le forme ma sono tutti frutti della stessa passione. Vi racconterò il Motomondiale, con la testa e con il cuore.