In Bahrein, McLaren conquista la sua prima vittoria, con il primo hat-trick di Oscar Piastri. Ma se il numero 81 può ora vantare due vittorie su quattro appuntamenti, Lando Norris si lecca le ferite dopo una gara chiusa soltanto al terzo posto, al termine di un weekend che ha riaperto il dialogo sulle sue insicurezze. Si apre così una riflessione sul team di Woking, che si trova ora a gestire una potenziale sfida per il campionato tra i due piloti Norris e Piastri, un dualismo interno che li vede protagonisti di approcci e personalità differenti. Mentre Piastri appare sempre più maturo, su Norris continuano a pesare dubbi sulla sua mentalità. Ma in Formula 1, essere vulnerabili toglie davvero valore alla corsa verso il Titolo?

All’alba del weekend del Bahrein, un dato in particolare spiccava tra gli altri: lo zero della McLaren nell’albo d’oro. Ma il deserto del Sakhir chiama, e il team di Woking – forte di una vettura sopra ogni altra – risponde: l’inno inglese risuona puntuale, per una prima volta che promette di non essere l’ultima. Il circuito incastonato nella penisola del Qatar sorride alla famiglia papaya, che di quest’ultima fa la sua seconda casa, con il fondo sovrano del Bahrein acquirente del 100% della casa McLaren. Dopo tre giorni all’insegna del dominio di Oscar Piastri, è necessario tirare le somme di una squadra che rimane saldamente in vetta a entrambi i campionati, ma che sembra affacciarsi a tempi di lotta interna tra due personalità lontane, con un Lando Norris che si guarda le spalle dal proprio compagno di box, a soli tre punti di distanza. Per farlo, facciamo un passo indietro, a prima del Gran Premio di Suzuka.
Così il numero 4 della McLaren si era espresso in una intervista al The Guardian: “Credo ancora di poter diventare campione del mondo e rimanere comunque un bravo ragazzo”. E allora la domanda che sorge spontanea è la seguente: è davvero così? Il dubbio è lecito, e lecito lo diventa ancora di più dopo il weekend nero appena trascorso. Sul terzo gradino del podio, il nativo di Bristol non può ritenersi soddisfatto, non può dopo la schiacciante vittoria di chi veste i suoi stessi colori, alla cinquantesima apparizione in Formula 1, non può tra una velocità di punta mai trovata e un timore che ritorna, lo stesso che nel 2024 ha messo d’accordo tutti, o quasi: non ha la mentalità adatta. E fa male dare ragione, almeno in parte, a chi da un anno ormai ti accompagna metaforicamente alla porta, lontano dai grandi nomi, quelli che pronunci sin da bambino, da quel Titolo piloti che coronerebbe le fatiche di una gioventù rubata e colmerebbe l’unico vuoto rimasto sulla mensola dei sogni, per un futuro che verrà.
Perché Lando un po’ di ragione gliel’ha data alla giuria degli scrutatori, quando ai microfoni di Sky Sport UK, al termine delle qualifiche – alla domanda su dove mancasse la velocità – si è indicato la tempia, come a dire che sí, c’è qualcosa nella testa che stride con il cronometro. C’è e pesa, pesa in una classe regina che non aspetta e non perdona. Pesa lì dove non si può mai escludere Max Verstappen dalla lotta, così come non si può escludere Oscar Piastri. È anche vero, però, Papaya Rules o che dir si voglia, che in casa McLaren solo il tempo dirà chi sarà in grado di strappare lo scettro al quattro volte campione del mondo olandese. Tuttavia, viene naturale porsi delle domande anzi tempo, al netto di una incostanza che al britannico non solo toglie rapidità in pista ma anche sicurezza in sè stesso. Naturale dinanzi alla evidente crescita del suo diretto rivale in terra comune, che ad ormai il suo terzo anno a Woking, sembra ormai potersi dire completamente a suo agio.

Due facce della stella medaglia, Lando e Oscar. Il primo, segnato dai demoni di una interiorità che spesso e volentieri sopprime il talento puro, quello che lo accompagna sin dai tempi dei kart. Una leggerezza nelle parole, la sua, che è riflesso degli anni che porta. Una sensibilità, se così si può dire, che nella vita verrebbe apprezzata perché guerriera contro una superficialità fin troppo ingombrante ma che, nella realtà delle corse, sembra essere destinata all’oblio, come una macchia su un corredo immacolato. Il secondo, d’altronde, è l’esempio lampante di chi viene definito ‘più maturo della sua età’, perché da un classe 2001 – alla bandiera a scacchi dopo una performance da manuale – non ti aspetti team radio pacati, o sorrisi appena accennati che raggiungono il loro apice solamente sul gradino più alto. Una calma e serietà disarmante, il rovescio di una ironia che sui social non passa inosservata, e che dei 24 anni appena compiuti sembrano non avere alcunché.

È una McLaren fresca di Campionato Costruttori quella che fa da sfondo a due ragazzi che di acerbo ormai non hanno nulla se non il profilo anagrafico, su un asfalto che è domicilio da anni. Una realtà impegnata a dimostrare di essere all’altezza della coppa più ambita, ma che già sogna un back to back e che, senza ombra di dubbio, può permettersi di farlo. Pensare in grande, certo, perché la MCL39 sembra strizzare l’occhio alla Red Bull di quell’ingiocabile 2023. Eppure quanto detto sul duo 4/81 – e in particolare su Norris – accenna a tentennamenti che questo sport on ammette, che forse di prime e seconde guide ne ha bisogno ora più che mai. Ad oggi, il punteggio dà ragione a Oscar Piastri, 2-1 e palla al centro, alla volta del quinto appuntamento della stagione a Jeddah, dopo un Sakhir in cui ha rifilato ben 16 secondi di distacco al suo compagno di box. Risulta spontaneo domandarsi, quindi, se in McLaren siano pronti ad un futuro in cui il nativo di Melbourne sia il favorito per il Titolo. Viene da domandarsi se Lando Norris sia pronto a farsi da parte. C’è bisogno di concretezza, in fondo. “Avevamo la gara sotto controllo, sono orgoglioso del team per la macchina che mi ha dato, sono orgoglioso di me stesso per aver fatto un ottimo weekend. È troppo presto per pensare al campionato, devo solo cercare di avere altri weekend come questo anche se so che non sarà sempre così semplice”, così Oscar al termine della gara di ieri. Così, invece, Lando: “Non so nemmeno come io sia ancora in testa alla classifica. Non sono a mio agio, non sono sicuro di me, so di cosa sono capace, non ho perso le mie capacità ma le cose sembrano non incastrarsi alla perfezione per qualche motivo”. E così l’autocritica si unisce al gioco a ribasso che sembra ormai caratterizzare le sue dichiarazioni, forse memore della gogna mediatica che si nasconde dietro ad ogni angolo. Paura di dire troppo, o troppo poco, paura dei titoli da prima pagina fondati su una parola fuori posto.
Ma dove sta il limite tra la vulnerabilità e la freddezza? Forse non esiste, forse la risposta sta nella autenticità di entrambe. Forse il coronamento dello sforzo continuo risiede nel non negarsi, in una verità che non si nasconde e che in McLaren si riflette in due poli opposti. Perché in un paddock che cerca costantemente di definire ciò che è giusto e sbagliato, questi due aggettivi in realtà non hanno alcun senso. Magari Lando Norris aveva ragione quando diceva di poter diventare campione a discapito del suo animo buono. Che se i precedenti non esistono, si può sempre crearli. E se il futuro vorrà diversamente, allora, si raccoglieranno i cocci del duro lavoro e ci si ricorderà, una volta in più, quanto si vale davvero, per poi ricominciare da capo.