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Nel quinto appuntamento del nostro viaggio dedicato alla scoperta dei team del passato, andremo ad analizzare la storia della BAR, acronimo di British American Racing, un team nato da una grande multinazionale del tabacco e che incantò tutti nella prima stagione con quella leggendaria livrea bicolore.

Photo: Grand Prix Photo
Photo: Grand Prix Photo

Siamo nella seconda metà degli anni ’90. In Formula 1 impazzano le sponsorizzazioni di grandi industrie del tabacco, disposte a pagare fior di quattrini per apparire sulle auto più veloci del pianeta. Ognuno di noi ha impresse le leggendarie livree dei team, disegnate apposta per tenere conto dei voleri delle multinazionali di sigarette. La Ferrari Marlboro, la Mclaren West, la Williams Rothmans e la Jordan Benson and Hedges, tanto per fare degli esempi. E’ in questo contesto che a Londra, nella sede della BAT, la British American Tobacco, iniziano a pensare di entrare nella categoria regina. Ma non come semplice sponsor. No, l’idea era di creare un proprio team, seguendo l’esempio della Benetton: un grande marchio in un settore estraneo a quello automobilistico che arriva a dominare in F1. E, come con la Benetton, venne subito scartata l’idea di creare un team ex novo: si decise quindi di acquisire una struttura già rodata, e la scelta cadde sulla Tyrrell, nobile decaduta degli anni 70 e 80. Già prima che iniziasse la stagione 1998, la BAT acquistò parte delle quote dell’ex team di patron Ken, annunciando che per il 1999 ci sarebbe stato il passaggio di mano.

E i piloti? Beh, a questo dobbiamo collegarci alla frase scritta in precedenza, cioè che la BAT acquistò “parte” delle quote Tyrrell. Perché l’altro pacchetto rilevante apparteneva a Craig Pollock, uomo conosciuto nel paddock per essere il manager di Jacques Villeneuve, il Campione del Mondo 1997. Ebbene sì, il pilota che fino a quel momento era ancora tecnicamente campione in carica, e che ancora non poteva prevedere che la stagione 1998 sarebbe stata al di sotto delle aspettative (anche se forse, visto l’addio della Renault, poteva intuirlo), si gettava in un’avventura che sarebbe potuta molto probabilmente essere suicida (e che infatti lo fu). Motivi? Soldi, tanti sicuramente, 25 miliardi di lire per due anni. Forse anche genuina fiducia nel progetto, perché come fornitori tecnici c’erano la Supertec per i motori (propulsori Renault rimarchiati) e la Reynard per i telai, che il canadese già aveva provato quando aveva vinto il campionato Cart nel 1995. Ma anche, come si sosteneva all’epoca, una probabile partecipazione azionaria dello stesso Villeneuve, fatto che comunque non fu mai confermato. Accanto a lui un esordiente brasiliano con un palmares mica da ridere: campione della F3 brasiliana e di quella sudamericana, campione di F3000 e Campione del Mondo GT, con anche un passato da collaudatore Mclaren. Parliamo di Ricardo Zonta, considerato come una giovane promessa di un automobilismo, quello brasiliano, che dalla morte di Senna non aveva più visto un proprio pilota vincente. Con tutte queste premesse, la prima stagione sarebbe dovuta essere un successo. “Puntiamo a vincere almeno una gara” disse Pollock prima della stagione.

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La stagione d’esordio.

Beh, diciamo che si sbagliò leggermente. Ma procediamo con ordine. Già dalla presentazione della prima vettura, la PR01, il team inglese fece parlare di sé per due motivi: la presenza di un flap sulle paratie dell’ala anteriore, cosa inedita in F1, e, soprattutto, la livrea. Anzi, lE livreE. Perché la BAT, controllando molti marchi, voleva pubblicizzare due di questi, la Lucky Strike e la State Express 555: così, per Villeneuve venne presentata una vettura biancorossa con il primo logo, mentre per Zonta una macchina blu con il secondo. La FIA lo vietò, e la BAR risolse il problema con una delle livree più belle della storia dell’umanità: le due colorazioni vennero messe insieme sui due lati della macchina, e “fuse” insieme da una cerniera, che rimaneva aperta sul musetto rivelando il numero del pilota, mentre le tute dei piloti rimasero diverse.

E in pista? Beh, la situazione non fu per niente facile. Nella prima gara in Australia entrambe le vetture furono costrette al ritiro per problemi tecnici, e in Brasile Zonta fu protagonista di un violento incidente nel GP di casa, che lo costrinse a saltare tre gare. Al suo posto giunse Mika Salo (che quell’anno corse anche in Ferrari), che a Barcellona ottenne il primo arrivo al traguardo della stagione, un ottavo posto, mentre a Imola sempre il finlandese, pur non arrivando al traguardo, venne classificato in settima posizione, miglior risultato stagionale suo e del team. La vettura in realtà non era neanche particolarmente lenta, e sulla velocità pura era superiore quantomeno alla Minardi e alla Arrows: ma la pecca era l’affidabilità, e tra ritiri per cedimenti e incidenti le BAR non videro il traguardo per ben 24 volte su 32. Da segnalare nel  corso della stagione: il quinto posto in qualifica a Imola di Villeneuve; il sesto a Barcellona sempre del canadese, a cui seguì una splendida partenza che lo portò a tenersi dietro le Ferrari per tutto il primo stint e ad issarsi terzo, prima di ritirarsi; la pazza gara del Nurburgring, quando ancora Villeneuve si trovò quinto ad una manciata di giri dal termine, prima di dover alzare bandiera bianca per un guasto alla frizione; e, infine, i due botti nelle prove del GP del Belgio, risultato di una probabile scommessa tra i due piloti. Il risultato fu che la squadra che doveva vincere almeno una gara chiuse con zero punti, non venendo qualificata in classifica secondo le regole vigenti allora, che prevedevano che per figurare bisognasse marcare punti.

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Il passaggio alla Honda e i primi podi.

Dopo il disastro del 1999, all’alba del terzo millennio la BAR si presentò con aspettative notevolmente ridimensionate: la 002 presentava come novità il cambio del propulsore, dall’obsoleto Supertec Renault al ben più prestazionale Honda, che tornava nel circus come motorista ufficiale dopo l’ultima apparizione con la Mclaren nel 1992 (in realtà, la Honda forniva già i motori alla Jordan, ma erano preparati dalla Mugen). La vettura si rivelò più veloce e affidabile di quella che l’aveva preceduta, e la stagione si aprì con un insperato doppio arrivo a punti, con Villeneuve quarto e Zonta sesto. Nel corso della stagione il brasiliano ottenne altri due sesti posti in Italia e negli USA, mentre Villeneuve chiuse sesto a Suzuka, quinto a Imola e Sepang e quarto a Magny Course, Zeltweg e Indianapolis. Da segnalare che a Monza il canadese rimase a lungo in terza posizione, prima di essere bloccato da un problema d’elettronica. In totale la scuderia di Brackley chiuse al quinto posto in classifica con 20 punti, gli stessi della Benetton quarta ma senza podi, mentre Villeneuve chiuse settimo con 17 lunghezze e Zonta quattordicesimo con 3. Da segnalare la gara di Spa, in cui Zonta fu spettatore privilegiato del sorpasso di Hakkinen su Schumacher sul Kemmel, considerato uno dei più belli di sempre.

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La stagione 2001 iniziò quindi sull’onda (o, sull’Honda) dei buoni risultati della precedente. Tra i piloti, venne scongiurato l’addio di Villeneuve, dato in procinto di passare alla Benetton, mentre al suo fianco venne scelto al posto di Zonta il francese Olivier Panis, reduce da un anno come collaudatore Mclaren dopo le esperienze in Ligier e Prost. Sul fronte tecnico, invece, è da segnalare che la Honda iniziò a fornire dal 2001 i motori ufficiali anche alla Jordan. Questo è rilevante poiché, dato che la Honda non poteva sostenere i costi della doppia fornitura, era chiaro che solo il migliore dei due team sarebbe riuscito a prolungare la partnership con il costruttore nipponico. La BAR iniziò quindi l’annata con una buona coppia di piloti e la consapevolezza di dover battere il team di Eddie. La stagione iniziò positivamente, con un quarto posto di Panis in Australia, ma una penalità di 25 secondi per aver superato Heidfeld lo fece arretrare in settima posizione. I primi punti comunque non tardarono ad arrivare, con un quarto posto in Brasile sempre del francese, mentre in Spagna arrivò a sorpresa il primo podio del team con Villeneuve: partito settimo, il canadese fu bravo a rimontare in un circuito in cui ha sempre ben figurato, e, grazie anche al clamoroso ritiro del leader Hakkinen nell’ultimo giro, riuscì a salire in extremis sul terzo gradino del podio, per la prima volta dal GP d’Ungheria 1998. Nel complesso, la 003 si rivelò più affidabile della precedente, ma meno prestazionale: se il primo fattore portò al secondo podio stagionale, sempre ad opera del canadese, in Germania, in una gara caratterizzata da numerosi ritiri, il secondo portò ad un arretramento in classifica costruttori a fine anno, passando dal quinto posto del 2000 al sesto del 2001 con 17 punti, due punti dietro la rivale Jordan, quinta. Sul fronte piloti Villeneuve bissò il settimo posto dell’anno precedente con dodici punti, mentre Panis fu quattordicesimo con cinque lunghezze.

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I deludenti risultati del primo triennio portarono ad un cambiamento ai vertici della squadra all’alba del 2002: la BAT esonerò Pollock a capo del team, e al suo posto fu scelto David Richards, già capo della Subaru Prodrive nel WRC. Questo portò a notevoli dissidi con Villeneuve, poiché Richards voleva rinunciare al canadese, che a detta sua guadagnava una cifra spropositata. Sul fronte sportivo, intanto, la stagione vide un altro passo indietro: Villeneuve e Panis non furono mai competitivi, e il miglior risultato fu un quarto posto a Silverstone del canadese, gara in cui il suo compagno giunse sesto. In totale il team totalizzò 7 punti, con altri due sesti posti a Monza e Indianapolis, e chiuse solo ottavo in classifica. Villeneuve fu solo dodicesimo in classifica, con quattro lunghezze, mentre tre ne fece il partente Panis, che chiuse quattordicesimo e a fine stagione partì in direzione Toyota, mentre al suo posto fu scelto Jenson Button, proveniente dalla Renault. Lato positivo, la BAR riuscì ad assicurarsi il supporto esclusivo della Honda, avvicinandosi molto all’orbita del team nipponico e diventando, in un certo senso, il suo team ufficiale.

 

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La fortificazione della partnership con la Honda portò ad una notevole risalita nel corso della stagione 2003. In un campionato in cui i primi quattro team (Ferrari, Williams, McLaren e Renault) si dimostrarono nettamente superiori alla concorrenza, la BAR sfruttò l’allargamento della zona punti ai primi otto, riuscendo a raccogliere nel corso dell’annata un discreto bottino. A sorpresa, però, non fu il titolato Villeneuve a prevalere nel confronto interno, ma il più giovane Button. Nelle prime quindici delle sedici gare in calendario il britannico totalizzò sette arrivi a punti, contro le sole due volte del figlio d’arte. Le prestazioni altalenanti, unite alle sempre più crescenti tensioni tra Villeneuve e il Team Principal Richards, portarono ad una frattura insanabile tra i due, e questo spinse il team a licenziarlo prima ancora dell’ultima gara a Suzuka. Si concluse così l’avventura di Villeneuve alla BAR, un’esperienza deleteria per un pilota giunto con l’idea di rafforzare il proprio palmares, ma che invece si ritrovò a gettare i migliori anni della propria carriera in un team di media fascia. Al suo posto, su pressione della Honda, giunse il nipponico Takuma Sato proprio per la sua gara di casa, e questa si rivelò essere la migliore della stagione per il team, con un quarto posto di Button e un sesto del giapponese. In totale la BAR totalizzò 26 punti (17 di Button, 6 di Villeneuve e 3 di Sato) e risalì rispetto alla precedente stagione al quinto posto. Notevole di menzione fu comunque la gara di Indianapolis: in un GP caotico per le condizioni meteorologiche variabili, Button sfruttò la bontà delle Bridgestone (inferiori alle Michelin con alte temperature e bagnato estremo, ma migliori con pista umida e basse temperature) per salire la classifica, arrivando a condurre la gara per diversi giri. Ripreso da Schumacher, l’inglese rimase a lungo in seconda posizione, pregustando il primo podio in carriera, finché un guasto al motore non lo costrinse a parcheggiare la macchina a bordo pista. Stessa sorte toccò diversi giri dopo a Villeneuve, in lotta per la sesta posizione, che terminò quindi con un ritiro la sua avventura alla BAR.

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L’apice e la cessione alla Honda.

Con l’addio del pilota di punta e con i primi quattro team irraggiungibili, si prospettava un’altra stagione a metà classifica per la scuderia anglonipponica. Tuttavia, il 2004 vide una flessione per quanto riguardava McLaren, Renault e Williams, protagoniste nel 2003: ad approfittarne furono la Ferrari e, incredibilmente, la BAR. La squadra di Brackley, nonostante non ottenne nessuna vittoria, al contrario dei tre team citati, fu costantemente sul podio, con Button unico in grado di tenere il passo di Schumacher e Barrichello. Dopo un sesto posto in Australia, l’inglese conquistò il primo podio in carriera in Malesia con una terza piazza, replicando il risultato anche in Bahrain. A Imola arrivò a sorpresa la prima pole della storia del team sempre con Button, che in gara chiuse secondo dietro Schumacher. Secondo giunse anche a Monaco, a pochi decimi dal vincitore Trulli, mentre fu terzo al Nurburgring. Sato, intanto, dopo un avvio di stagione difficile, fece registrare i primi punti in Spagna con un quinto posto, mentre ad Indianapolis riuscì a conquistare il suo unico podio in carriera, un terzo posto, nel circuito che tredici anni dopo lo vedrà vittorioso alla 500 Miglia. Dopo un altro paio di piazzamenti, Button fu secondo ad Hockenheim, terzo a Monza, secondo a Shanghai (gara in cui la BAR ripropose i colori della 555 in una livrea speciale) e terzo a Suzuka. La magica stagione si chiuse al secondo posto tra i costruttori, con 119 lunghezze (143 in meno della Ferrari, ma 14 in più della Renault), mentre tra i piloti Button fu terzo con 85 punti (miglior risultato della sua carriera fino a quel momento), mentre Sato fu ottavo con 34 punti. Fu il punto più alto mai raggiunto dal team inglese, che non fu più in grado di ripetersi.

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Infatti, i cambi regolamentari della stagione 2005 penalizzarono proprio i due team che l’anno precedente erano risultati migliori, Ferrari e BAR. Nonostante la squadra di Brackley, a differenza di quella di Maranello, potesse disporre delle più performanti Michelin, non riuscì mai seriamente a confermare quanto di buono fatto vedere l’anno prima, e venne surclassata da Renault, Mclaren, Williams, Ferrari e, addirittura, Toyota. Nelle prime tre gare la BAR non totalizzò neanche un punto. Uno spiraglio di luce si intravide ad Imola, con Button che chiuse terzo e Sato quinto. Tuttavia, nel post gara arrivò la doccia fredda: le vetture non erano conformi al regolamento per quanto riguardava il peso. Arrivò quindi la squalifica (con Wurz che salì sul podio al posto dell’inglese), ma non solo, poiché al team fu vietato di partecipare ai successivi GP di Spagna e Monaco. Al rientro al Nurburgring, la vettura venne pesantemente modificata per rientrare nelle regolamento, e i frutti si videro nel GP del Canada, con Button che riuscì ad ottenere la seconda e ultima pole della storia del team: bruciato al via dalle Renault di Fisichella e Alonso, rimase a lungo in lotta per il podio, prima di vanificare tutto con un incidente al 46esimo giro. Dopo la parentesi Indianapolis, in cui Button e Sato si ritirarono insieme agli altri gommati Michelin nel giro di ricognizione, in Francia giunsero finalmente i primi punti con il quarto posto dell’inglese, seguito da un quinto a Silverstone, mentre a Hockenheim fu incredibilmente terzo dietro Alonso e Montoya. Altri due quinti posti in Ungheria (con Sato ottavo) e Turchia, un ottavo a Monza, un ultimo terzo posto a Spa (gara in cui Sato si prese un celebre scapellotto da Schumacher), un settimo in Brasile e un quinto a Suzuka permisero alla BAR di salvare la stagione, chiudendo al sesto posto nei costruttori con 38 punti, 37 di Button (nono) e uno solo di Sato (23esimo).

Intanto, nel 2005 aumentarono le restrizioni inerenti alle sponsorizzazioni dei marchi del tabacco. Ciò rendeva impossibile andare avanti con un team che era un pacchetto di sigarette su ruote. Questo portò all’acquisizione alla fine della stagione da parte della Honda, che da anni cerca di entrare nel Circus con un proprio team. Ciò segnò la fine della storia della BAR. Una storia sicuramente al di sotto della aspettative iniziali, che ha visto la morte sportiva di un pilota che sarebbe dovuto essere in netta ascesa (Villeneuve), ma di contro anche la consacrazione di un pilota che avrebbe fatto molto parlare di sé (Button). Per questa puntata di Storie di scuderie è tutto, sperando che vi sia piaciuta. Arrivederci alla prossima.

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Risultati in F1

117 Gran Premi

2° nel Mondiale Costruttori come miglior risultato

3° nel Mondiale Piloti come miglior risultato

2° in gara come miglior risultato

2 pole position

15 podi

227 punti





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Alfredo Cirelli

The author Alfredo Cirelli

Classe 1999, sono cresciuto con la F1 commentata da Mazzoni, da cui ho assorbito un'enorme mole di statistiche non propriamente utili, che prima che Fuori Traiettoria mi desse la possibilità di tramutarle in articoli servivano soltanto per infastidire i miei amici non propriamente interessati. Per FT mi occupo di fornirvi aneddoti curiosi e dati statistici sul mondo della F1, ma copro anche la Formula E (categoria per cui sono accreditato FIA), la Formula 2, la Formula 3, talvolta anche la Indycar e, se ho tempo, anche tutte le varie formule minori in giro per il mondo.