Oggigiorno siamo abituati a vedere SUV di lusso ad ogni angolo di strada. Sono entrati nel nostro immaginario collettivo, specialmente quelli di maggiori dimensioni: spesso li vediamo in mano a donne, calciatori ed uomini mentre sono intenti a “dominare le strade”, salvo poi spesso arrendersi di fronte a parcheggi e strettoie per evidenti problemi di dimensioni. Nonostante però la sfilza di luoghi comuni che li accompagna, questo genere di vetture è sempre più padrone dei mercati automobilistici. Ma da dove viene l’idea primigenia di tali veicoli mitologici, un po’ coupé, un po’ SW e un po’ fuoristrada? Beh, la loro origine è tanto risalente nel tempo quanto, forse, impensabile. E si lega a doppio filo con il marchio Lamborghini.
Siamo nel 1986, in Italia, a Sant’Agata Bolognese. Dopo vari infruttuosi tentativi, tra cui la LM001 – dotata prima di un motore inadatto alle dimensioni mastodontiche del mezzo e poi assediata da problemi di progettazione nel posizionare il propulsore della Countach in posizione posteriore – e la precedente Cheetah – strano ma vero, così chiamata dal nome della scimmia di Tarzan nonostante fosse stata commissionata nella seconda metà degli anni ’70 dall’Esercito statunitense, che si premurò di ordinarla con un motore impermeabile di origine Chevrolet da 180 CV – arriva finalmente la LM002.
Che, rispetto alle sue antenate rimaste lettera morta, è una sorta di rivoluzione copernicana. Il motore – e che motore – non viene più posizionato davanti alle ruote posteriori, bensì all’anteriore: è lì infatti che trova posto il propulsore, rimasto pressoché invariato, della Countach, ovvero il 5.2 litri 12 cilindri da 450 CV. Che però, sulla LM002, ha il non facile compito di muovere una massa di 2600 KG a vuoto, dal coefficiente aerodinamico assai elevato – sostanzialmente aggraziato come un comodino dell’Ikea – e con delle dimensioni mastodontiche per l’epoca (4,9 m × 2,0 m × 1,8 m). Ma pensate forse che la massa e le misure extra-large possano aver reso una Lamborghini lenta nel vero senso della parola? Illusi. La LM002 era infatti accreditata di una velocità massima di 210km/h ed era in grado di scattare da 0 a 100 km/h in 7,8″, con prestazioni migliori dunque di molte vetture dalle dimensioni più contenute che ogni giorno vediamo circolare per le strade. Ovviamente tutto questo portava a delle conseguenze non proprio piacevoli sul fronte dei consumi: usando tutta la leggerezza del vostro piede destro ed un particolare ottimismo avreste potuto raggiungere la dignitosissima soglia dei quasi 5 km con un litro. Ma non temete, perché la LM002 era attrezzata anche per far fronte alle necessità di chi l’avesse comprata per i viaggi di lunga percorrenza: era dotata, infatti, di un serbatoio di ben 230 litri. Quasi 5 volte quello di una Volkswagen Golf.
Nel progetto iniziale l’auto avrebbe dovuto partecipare anche alla Parigi-Dakar, affidata alla guida di Sandro Munari. Per lo scopo ne venne prodotto un apposito esemplare con una potenza di oltre 600 CV ed alcuni accorgimenti tecnici specifici per la competizione, ma dopo alcuni Rally di preparazione all’evento, svoltisi in Grecia ed Egitto, il progetto venne abortito e la vettura non prese mai il via del Rally Raid più famoso del mondo, se non grazie ad alcuni Team privati. Auto da 8 posti a sedere, ed una trazione posteriore con quella integrale inseribile manualmente, ai tempi aveva un prezzo che si attestava sui 240 milioni di lire, che non erano propriamente bruscolini. Ecco perché venne apprezzata particolarmente nei mercati medio-orientali ed in quello americano, tanto che gli ultimi 60 pezzi vennero prodotti proprio in una versione speciale appositamente pensata per il mercato statunitense.
La LM002, come se non avesse attorno a sé già un’aura che definire “particolare” è un eufemismo, può anche vantare l’inserimento in una caratteristica classifica del “Time”, quella che riguardava le 50 auto peggiori di sempre. E il bello – o il brutto, dipende dai punti di vista – è che l’inclusione nella suddetta classifica non era neppure dovuta interamente all’estetica delle sue linee o alle sue prestazioni, quanto piuttosto alla clientela poco raccomandabile che la LM002 aveva, visto che tra i suoi possessori spiccava il ben poco rassicurante nome della famiglia Hussein.
Un insuccesso commerciale dunque? Molto probabilmente sì. Ma la LM002, quasi sicuramente, non era stata concepita per dominare il mercato. Il progenitore dei SUV marchiato Lamborghini appartiene a quella categoria di veicoli fatti e prodotti apparentemente senza scopi commerciali, mantenendo una sorta di anarchia automobilistica che, a distanza di anni, dona una veste così affascinante da far dimenticare tutto il resto. Perché, in fondo, le Lamborghini fino alla Huracàn sono state fatte così, con soluzioni estreme che facevano sognare il bambino che c’era in noi, sperando magari in quattro scarichi posizionati sul tetto, in fari da astronave aliena o in alettoni e flap posizionati in posti impensabili “solo” per alimentare il nostro amore nei confronti delle quattro ruote. Per rimanere un po’ sognatori e un po’ pazzi. Come la tradizione del Toro ci ha insegnato ad essere.