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Come si identificano le cricche in un telaio di Formula Uno?





Dopo la gara di Monaco, alcuni meccanici Alpine sono stati immortalati dalle telecamere di Sky Italia mentre controllavano il telaio: ma che tecnologie si utilizzano?

Il telaio, manco a dirlo, è la parte fondamentale per ciò che riguarda le performance di una vettura da competizione e non solo.
Nel corso degli anni si sono evoluti, passando da comuni telai a traliccio a monoscocche in fibra di carbonio.

Pioniera in questa rivoluzione è stata la McLaren MP4/1, progettata da John Barnard per competere nella stagione 1981 come contendente al titolo per la scuderia di Woking.

Alla fine del 1979, Barnard iniziò a progettare una vettura innovativa per il team Project 4, basata su una monoscocca in fibra di carbonio, stretta e pensata per massimizzare l’effetto suolo tramite tunnel Venturi più ampi. I materiali tradizionali come alluminio e acciaio non offrivano il giusto compromesso tra rigidità e peso, quindi puntò sulla fibra di carbonio, ancora mai usata in quel modo nel motorsport. Dopo un primo contatto con British Aerospace, che non poté supportarlo direttamente, Barnard avviò una collaborazione fondamentale con l’ingegnere Arthur Webb, ingegnere aerospaziale esperto nel campo dei compositi.

Barnard e Webb progettarono una monoscocca in fibra di carbonio con anima in alluminio a nido d’ape, rigida, leggera e in grado di integrare punti di fissaggio strutturali. Non potendo costruirla internamente, grazie a un suggerimento di Steve Nichols, Barnard si rivolse a Hercules Aerospace, che accettò di produrla.

Telaio della MP4/1, ben visibile la costruzione in centine, cioè più blocchi sommati assieme, tipica dei telai a traliccio. © Wouter Melissen 

Il tutto avveniva mentre Project 4 affrontava grosse difficoltà economiche. Marlboro, inizialmente riluttante, considerò l’idea di una fusione tra Project 4 e McLaren per rilanciare quest’ultima, con Dennis, Barnard e la nuova tecnologia al centro del progetto.
Nasce la MP4/1, che ha alzato definitivamente l’asticella di questo sport, cambiandolo per sempre.

Inutile dire che il telaio in composito ha enormi benefici, a partire dal peso e passando per la sicurezza.

A differenza dei materiali metallici però, è più difficile identificate rotture: essendo per natura un materiale anisotropo (ovvero le sue proprietà meccaniche come resistenza a trazione o compressione non sono le stesse lungo ogni direzione) come tutte le fibre, è normale che abbia un comportamento difficilmente prevedibile; difatti, i vantaggi del telaio in carbonio sono tali soprattutto in condizioni nelle quali è richiesta una grande rigidità, in quanto non è semplice progettare un telaio più flessibile o torcente solo in determinati punti come avviene per un telaio a traliccio.

Spesso la rottura del telaio è ciò alla quale vengono imputate scarse performances dei piloti. Non è raro sentire che venga cambiato un telaio dopo prestazioni non convincenti per via di possibili cricche o fratture in punti chiave.

Famosissima foto di una F399 a Laguna Seca spezzatasi proprio NEL punto chiave.

Altrettante volte, capita che a chiamarne la sostituzione sia proprio un incidente. Specialmente nella zona dei braccetti delle sospensioni anteriori, spesso capita che questi in caso di urto laterale vadano a penetrare il bordo della cellula di sopravvivenza.

È il caso di Pierre Gasly durante l’odierno GP di Monaco, che al nono giro, mancando la frenata del tornantino è finito ad alta velocità contro il posteriore di Yuki Tsunoda e concludento anzitempo la propria gara.

Nel post gara, le telecamere di Sky Italia hanno ripreso i meccanici Alpine utilizzare uno strumento particolare dopo aver smontato ciò che rimaneva della sospensione anteriore.

Il meccanico appoggia una sonda nella zona in cui si avvitano i braccetti ©Sky Italia

Ma cos’è questo strumento?

Si chiama ultrasonic thickness gauge. È uno strumento della famiglia dei test non distruttivi, che come suggerisce il termine permettono di testare l’integrità dei componenti senza distruggerli o sezionarli.

Nello specifico, gli spessimetri a ultrasuoni sono strumenti che permettono di misurare lo spessore di un materiale utilizzando onde ultrasonore. Il principio è basato sull’emissione di un impulso acustico ad alta frequenza, generato da un trasduttore piezoelettrico (che consente di trasformare l’energia elettrica in un impulso sonoro o vibratorio) e trasmesso nel materiale da ispezionare. Quando l’onda incontra una discontinuità interna o semplicemente la fine del pezzo, viene riflessa e torna indietro al trasduttore. Misurando con precisione il tempo che l’onda impiega per percorrere l’andata e il ritorno, e conoscendo la velocità di propagazione del suono nel materiale (nelle fibre a resina epossidica come il carbonio sui 3000 m/s), è possibile determinare con esattezza lo spessore della parete secondo una relazione lineare tra tempo, velocità e distanza.

Se l’onda acustica incontra una discontinuità all’interno del laminato, il suo comportamento cambia: può riflettersi prima del previsto, subire un’attenuazione o essere dispersa, restituendo un segnale anomalo rispetto a quello atteso da un materiale integro. Queste variazioni nei tempi di ritorno o nell’intensità dell’eco permettono all’operatore di rilevare e localizzare eventuali danni o imperfezioni strutturali.

Il meccanico, in precedenza, spalma un fluido sulla superficie da ispezionare: affinché il segnale ultrasonoro si trasmetta correttamente dal trasduttore al materiale, è necessario utilizzare un gel di accoppiamento (generalmente glicole propilenico), che elimina l’aria tra le superfici a contatto e garantisce la trasmissione dell’onda sonora. L’accuratezza della misura dipende dalla corretta taratura dello strumento in base alla velocità del suono nel materiale in esame, che nel caso della fibra di carbonio varia a seconda dell’orientamento delle fibre e del tipo di laminato.

Glicole propilenico, acquistabile su Amazon, se mai doveste controllare le cricche su una monoscocca.

Questa tecnologia sembra estremamente avanzata ed esclusiva, ma nella realtà è estremamente diffusa anche nel campo del ciclismo ed è utilizzata sempre per valutare la presenza di cricche sui telai.

© Olympus




Christian Falavena

The author Christian Falavena

Classe '99, appassionato di tutto ciò che va forte e fa rumore, introdotto alla passione per le 4 ruote dal padre. Seguo il mondiale di Formula Uno dal 2007, leggo e scrivo di tecnica dal 2017. Musicista a tempo perso e già perito meccatronico industriale, ora aspirante ingegnere meccanico presso l'Università degli Studi di Ferrara, in cui sono Team Leader nel programma Formula Student.