«Nel motociclismo, la forma fisica è diventata una componente non dico secondaria, ma che viene dopo l’abilità». Curioso che a pronunciare queste parole sia Michele Zasa, il coordinatore della Clinica Mobile. Insomma, il medico della MotoGP. Ma dopotutto è vero. «In questo sport puoi essere allenato quanto vuoi, ma se non hai la classe, se non hai il talento, non puoi vincere».
Il dottor Costa gli ha lasciato la Clinica Mobile. È l’ospedale itinerante (o forse è meglio dire la guardia medica) che segue come un’ombra il motomondiale. Dal 2014 Michele Zasa è il medico del paddock: intrattiene rapporti privilegiati con i piloti, presta cure mediche a tutti gli addetti ai lavori, dirige un team che ormai è nel cuore di tutta la MotoGP. E non solo. «Noi della Clinica Mobile siamo un gruppo piuttosto giovane. Quindi i piloti dei campionati minori, la Moto2 e la Moto3, per noi sono come dei fratelli minori».
Ho avuto la possibilità di intervistarlo sabato 14, mentre lui era in Giappone al Motegi. Una chiacchiera telefonica di 20 minuti dopo una giornata di lavoro. «Siamo a pezzi» confida. «Una giornata impegnativa: sono caduti diversi piloti». Tra cui Marquez e Pedrosa, che si è anche rotto la clavicola. Ma siccome l’intervista completa è per il sito www.talentilucani.it mi concede volentieri qualche parola. «I miei sono della Basilicata. Da bambino ho passato molto tempo coi nonni a Tricarico».
Ma cosa significa, concretamente, fare il medico per il paddock delle moto? «Cinquecento interventi medici a weekend, a volte anche di più». Ma non sono mica tutti traumi. «Tante volte i piloti, così come i meccanici, vengono per l’influenza, per la gastroenterite… Il 50% degli interventi è per i piloti, l’altro 50% per tutti gli altri. E poi c’è la fisioterapia, cui ricorrono soltanto i piloti».
Orari densissimi. «Non ci fermiamo un attimo!». D’altra parte, questo è un lavoro appagante. Molto speciale. «Trovarsi con Valentino Rossi a chiacchierare e scherzare per dieci minuti la sera prima della gara di Misano! Questo è davvero qualcosa di incredibile. Anche semplicemente stare lì con loro». E non finisce mica qui. «Seguire il motomondiale ti permette di viaggiare molto. La gente crede che puoi fare turismo. Ma non c’è tempo. Nei giorni di gara arrivi nel paddock alle 7.30 e te ne vai la sera. Però è sempre bello girare il mondo: io ho sempre viaggiato».
Fare il medico nel paddock mette una certa pressione. «Non puoi sbagliare. Devi dare il 100%, fare del tuo meglio. Perché se non sei bravo, loro devono cercarsi un altro medico». E i piloti apprezzano il loro lavoro. «Quello che conta per loro è vedere a fianco un medico che ci prova e che si impegna. Da una parte è stancante, ma dall’altra è molto stimolante».
Anche perché essere il medico dei centauri ha dei risvolti interessanti. «Stiamo insieme quattro o cinque giorni in una settimana: è logico che si crea una certa confidenza, e anche una certa amicizia». E per vivacizzare gli ambienti, il dottor Zasa ha avuto l’idea di appendere fotografie dei piloti storici della MotoGP all’interno della Clinica Mobile. Ci sono Schwantz, Agostini, ma anche Simoncelli. «I piloti hanno piacere a vedere queste foto quando vengono per un trattamento». Ma tra queste foto ne manca una. Quella di Ayrton Senna. «Tutto il mio percorso nel mondo dei motori è partito da Senna. Ho iniziato a lavorare a Imola, nel circuito in cui è morto. Poi il dottor Costa mi ha coinvolto per lavorare nelle gare di motociclismo».
Un percorso che lo ha portato a monitorare i centauri. E torniamo a bomba: girare con una MotoGP è questione di muscoli? «Innanzitutto c’è da dire che non c’è bisogno di chissà che forma fisica per questo sport. Ciò che conta è aprire e chiudere il gas al momento giusto. Valentino Rossi è un grandissimo campione che si allena sì, ma a livello fisico non è un fisico iper-palestrato, iper-allenato… Si sta allenando in maniera continuativa soprattutto in questi ultimi anni perché ha da competere con dei ragazzi molto più giovani di lui, ma nei primi anni della sua carriera vinceva senza la necessità di allenarsi così tanto».
Anche se qualche giovane può essere in difficoltà. «Magari alcuni piloti di Moto3 che arrivano al primo anno nel mondiale, se non sono seguiti adeguatamente, non hanno l’adeguata preparazione fisica. Ma in breve tempo si rendono conto che se non sono in grado di competere fisicamente con gli altri concorrenti, allora devono allenarsi e lavorano in tal senso. È una selezione naturale».
La Clinica Mobile però è tutt’altro che arrivata a un punto di arrivo. Lo staff è giovane e pieno di idee. E mentre si lavora per trovare un camion più nuovo e più grande – «così da dare più spazio ai piloti» – l’impegno prosegue con un mantra nella testa. L’eredità del dottor Costa. «La voglia di starci sempre, la voglia di essere qua a disposizione dei piloti e di sacrificarsi per i piloti, anzi con i piloti. Condividere il momento di difficoltà, il momento del dolore, stare a fianco al pilota e combattere col pilota per superare questi problemi». Adesso, domani, sempre.
La versione completa dell’intervista condotta da Marco Di Geronimo è reperibile sul sito di Talenti Lucani a questo link. L’autore ringrazia il direttore Rocco Rosa per aver gentilmente autorizzato anche questo articolo.