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Nel quarto capitolo della nostra rubrica volta alla riscoperta delle scuderie del passato, questa volta andremo ad analizzare la BMW, dagli esordi come semplice motorista fino al quadriennio come partner della Sauber.


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I primi esordi.

Germania. Un Paese dalla forte tradizione motoristica. Il Paese di circuiti leggendari come Hockenheim e il Nurburgring. Il Paese di grandi piloti come i fratelli Schumacher, Vettel, Rosberg e Frentzen. Ma soprattutto, il Paese dei quattro grandi marchi automobilistici. Due, Mercedes e Porsche, situati a Stoccarda. Uno, l’Audi, con sede ad Inglotstadt. E infine, l’ultimo, situato a Monaco di Baviera. La BMW.

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Delle quattro, la Casa dell’Elica è forse quella con meno storia nel motorsport, anche se ciò non toglie il grande ruolo ricoperto dal marchio bavarese sin dall’anteguerra: già negli anni ’30, infatti, la BMW era attiva in molte competizioni, e tra i successi più importanti vanno annoverati quelli conseguiti alla 24 ore di Le Mans del 1939 e alla Mille Miglia del 1940, a conflitto già iniziato. Terminata la Seconda Guerra Mondiale, le auto tedesche tornarono a correre, ottenendo discreti successi: nel Turismo, riuscendo ad ottenere due vittorie negli anni ’60 alla 24 ore di Spa con i fratelli Ickx, Pascal e Jacky; nel Campionato Europeo della Montagna, con i successi tra gli anni ’60 e ’70 con Ernst Furtmayr e Walter Brun; e infine nel Campionato Europeo di Formula 2, campionato nel quale in veste di motorista lanciò nella categoria regina ottimi piloti come Jarier, Stuck, Depailler, Lafitte, Stuck, Giacomelli, Tambay, Surer e Fabi.

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E in F1? Beh, l’avventura della Casa bavarese in F1 è più lunga di quanto si possa credere. La prima apparizione di un motore BMW in Formula 1 risale addirittura al Gran Premio di Gran Bretagna 1952, con Tony Crook al volante di una Frazer. Lo stesso anno in Germania, al Nurburgring, vennero schierate ben quattro vetture prodotte interamente in casa, e altre due vennero schierate l’anno dopo nello stesso circuito, mentre continuavano le motorizzazioni per tutti i piccoli team privati che quell’anno tentarono l’avventura in F1. Dopo una pausa di tredici anni, la BMW tornò nel circus nel biennio 1967-1968, ottenendo come miglior risultato un decimo posto nel GP di Germania 1968 da Hubert Hahne, l’ultimo GP disputato prima di un altro stop lungo quattordici anni. Fortunatamente, però, questo è solo l’inizio della nostra storia.

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L’era turbo e i successi con la Brabham.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 iniziò lo sviluppo dei motori turbo. Seguendo una strada iniziata dalla Renault nel 1977, sempre più team iniziarono ad adottare il propulsore sovralimentato, che dopo un esordio difficile per enormi problemi d’affidabilità, iniziò ad essere una realtà sempre più solida: dopo la prima vittoria giunta nel GP di Francia 1979 con Jean Pierre Jabouille (sì, sappiamo tutti che ricordate solo chi arrivò secondo e terzo in quella gara), le Renault iniziarono sempre di più a diventare un top team, e quando anche la Ferrari nel 1981 passò ai turbo vincendo a Monaco e in Spagna con Villeneuve, fu chiaro a tutti che l’anno dopo probabilmente sarebbe stato un motore turbo a vincere. Lo capì soprattutto la Brabham, campione piloti nel 1981 con il brasiliano Nelson Piquet. Il patron del team, Bernie Ecclestone, capì che non avrebbe potuto difendere il titolo dagli assalti di Ferrari e Renault, ma sapeva anche di non avere i mezzi per potersi costruire un motore in proprio. Mister E iniziò a guardarsi intorno, e la scelta cadde proprio sulla BMW. Per il 1982 le vetture di Piquet e Patrese avrebbero montato il propulsore teutonico, un 4 cilindri in linea da 1500 di cilindrata, derivato dal 2000 cc usato in Formula 2, arma con cui avrebbero cercato di battere l’agguerrita concorrenza formata da Ferrari, Renault, Williams e McLaren.

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L’esordio, avvenuto nella prima gara stagionale a Kyalami, fu ben al di sotto delle aspettative. Dopo una buona prestazione in qualifica, in cui Piquet fu secondo e Patrese quarto, in gara le due vetture bianche furono entrambe costrette al ritiro, l’italiano proprio per un problema al motore. Il team inglese capì subito che la scarsa esperienza del costruttore bavarese nel Circus sarebbe stata una bella zavorra per il prosieguo del campionato, e per le successive due gare venne schierata la vettura dell’anno precedente, dotata del più lento ma decisamente più affidabile Ford Cosworth. Con la macchina vecchia Piquet si impose subito in Brasile, ma venne successivamente squalificato (così come Rosberg, secondo) perché le vetture aspirate, per cercare di colmare il gap con i turbo, correvano sottopeso. I motori BMW tornarono in Belgio (nel frattempo la Brabham aveva disertato il GP di San Marino per le proteste tra la FOCA e la FISA), nel weekend funestato dalla tragica morte di Gilles Villeneuve, e ottennero i primi punti, con un quinto posto di Piquet. Per i due GP seguenti, la Brabham, incoraggiata da un lato dai progressi della BMW, ma temendo dall’altro che per la tipologia di circuiti (prima Monaco, poi una Montreal ben più tortuosa di quella attuale), decise di schierare due vetture diverse: la BT49D-Ford per Patrese, e la BT50-BMW per Piquet. La manovra si rivelò vincente: nel Principato l’italiano ottenne il primo successo in carriera dopo un finale rocambolesco, mentre Piquet, dopo una gara condotta nelle retrovie, fu costretto al ritiro dopo essere stato doppiato; sul circuito Gilles Villeneuve, invece, fu il brasiliano ad imporsi, ottenendo il primo storico successo di un motore BMW in Formula 1, con Patrese che chiuse al secondo posto, a completare quella che fu l’ultima doppietta della storia del team.

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Nonostante la prima vittoria, però, i problemi continuarono. Il propulsore BMW era molto potente, forse il più potente tra tutti quelli della F1, ma aveva due enormi problemi: il primo era l’affidabilità. Molto spesso infatti le Brabham riuscivano ad ottenere buone prestazioni in qualifica o nella prima parte di gara, ma di rado riuscivano a vedere la bandiera a scacchi. Nel GP di Francia durante i tre giorni di gara andarono distrutti ben sei motori! Il secondo problema, invece, riguardava il peso. Il motore BMW pesava come un mammut, con gravi conseguenze ovviamente sulle prestazioni. Per ovviare a questo problema, i tecnici Brabham ebbero un’idea geniale: venne introdotto per la prima volta il pit stop strategico. Fino a quel momento, rifornire benzina o cambiare le gomme in corsa non era vietato dal regolamento, ma veniva fatto solo in caso di emergenza, rotture o pioggia. La squadra inglese intuì che l’unico modo per cercare di contrastare gli avversari era partire con mezzo serbatoio pieno e gomme morbide, spingere al massimo per metà corsa, fermarsi per rifornire e montare gomme morbide nuove e arrivare fino in fondo. La tattica, innovativa per l’epoca, venne introdotta dal GP di Gran Bretagna, ma per le prime gare non si riuscì a vedere le vetture rifornire, perché in genere si rompevano sempre prima del pit. E se non succedeva, le vetture erano coinvolte in incidenti, come il celebre contatto ad Hockenheim tra Piquet e Salazar, con il brasiliano che, sceso dalla macchina, decise di sfogare la propria rabbia sferrando calci e pugni al cileno, reo di non avergli agevolato un doppiaggio. Il primo pit stop avvenne solo in Austria, con entrambe le vetture che comunque non completarono la gara. A fine stagione la Brabham-BMW concluse settima con 22 punti. E sottolineo Brabham-BMW perché il regolamento prevedeva che in caso un team schierasse vetture motorizzate diverse, queste venivano conteggiate come due squadre distinte: infatti, dietro la Brabham-BMW (e la Ligier), c’era con 19 punti la Brabham-Ford. Tra i piloti, Patrese e Piquet chiusero rispettivamente decimo e undicesimo.

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Nel 1983 la Brabham confermò la partnership tecnica con BMW, che affiancò al team inglese anche la ATS del solo Manfred Winkelhock per la fornitura dei motori. I cambi regolamentari introdotti per la stagione in corso, che abolivano le minigonne e il fondo piatto, portarono alla nascita dell’avveniristica BT52, detta “a forma di freccia” per la curiosa posizione dei radiatori, molto arretrati, e dell’alettone anteriore, che convergeva in avanti. Durante questa stagione, esplose definitivamente lo strapotere dei motori turbo (che in realtà avevano già vinto il mondiale costruttori l’anno precedente con la Ferrari): la lotta per il titolo fu un affare a tre tra la Brabham di Piquet, la Ferrari di Arnoux e la Renault di Prost. Ad un avvio folgorante, con il successo di Piquet in Brasile, nella sua Rio, seguirono una serie di prestazioni balbettanti, a causa di un motore BMW non ancora al top sul fronte affidabilità. Mentre Piquet riusciva comunque a strappare qualche risultato utile, Patrese rimase colpito da molti problemi tecnici, e riuscì a segnare punti solo nella decima gara stagionale, in Germania, con un terzo posto, cosa che limitò molto la squadra inglese nella corsa al campionato costruttori. Quando oramai Piquet sembrava tagliato fuori, la Brabham riacquistò competitività, e approfittando di un crollo di Prost e di Arnoux riuscì ad imporsi a Monza e a Brands Hatch, presentandosi a Kyalami, ultimo appuntamento stagionale, con soli due punti di svantaggio sul francese della Renault. All’ultimo round si presentarono così tre piloti ancora in corsa per il titolo: Prost con 57 punti, Piquet con 55 e Arnoux con 49. Più definita era la situazione per quanto riguardava il campionato a squadre, con la Ferrari che poteva vantare undici lunghezze sulla Renault, mentre la Brabham era tagliata fuori. Partito in prima fila, il brasiliano prese subito il comando, e quando sia Prost che Arnoux uscirono fuori di scena, alzò il piede, facendosi sfilare da Patrese e da De Cesaris. In ogni caso, i quattro punti del terzo posto gli permisero di scavalcare il Professore, e ottenere così il secondo titolo iridato. Ma, cosa più importante, la BMW ottenne il suo primo e unico storico successo nel campionato piloti di Formula 1 da motorista, un traguardo che in Germania fino a quel momento era stato raggiunto solo dalla Mercedes.

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Ad onor del vero, bisogna però fare delle precisazioni. In quella stagione ci furono molte polemiche inerenti alla benzina, e questo perché si sosteneva che la Brabham utilizzasse un carburante con un numero di ottani superiore a quanto previsto dal regolamento. Tuttavia, questo ammetteva che nelle gare extraeuropee fosse consentito un numero di ottani superiore che nelle gare nel Vecchio Continente, e ciò portò a grandi incertezze. Alla fine del campionato, Ecclestone ammise di aver usato un carburante irregolare, e si scusò con la Renault e la Ferrari, che dal canto loro non sporsero reclamo, la Ferrari accontentandosi del mondiale costruttori, la Renault invece proprio perché non l’avrebbe ottenuto comunque. In ogni caso, il titolo resta nell’albo d’oro, e da lì non potrà mai essere cancellato.

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Il declino e il ritiro momentaneo.

All’inizio della stagione 1984 la Brabham si presentò ai blocchi di partenza con i numeri 1 e 2 e il ruolo di favorita. La BT53 era una sostanziale evoluzione della vettura vincente l’anno prima, e il motore BMW era evoluto sul fronte affidabilità. Oltre al team inglese, il costruttore tedesco continuò a fornire la ATS, e alla lista si aggiunse anche la Arrows, che nel corso dell’anno si sarebbe alternata con il motore Cosworth. Tuttavia le premesse furono fallite. Nonostante una buona velocità pura, confermata dalle ben nove pole di Piquet (che venne affiancato dai fratelli Teo e Corrado Fabi, che si alternarono nel resto della stagione), la macchina non era assolutamente in grado di lottare con la McLaren, spinta dai rivali della Porsche, e a fine stagione chiuse al quarto posto in classifica, dietro anche Ferrari e Lotus, e con due soli successi del brasiliano (quinto) a Detroit e a Montreal. La Arrows, dal canto suo, ottenne tre punticini con la motorizzazione tedesca (e altri tre con il Ford), che la portarono ad ottenere un dignitoso nono posto in classifica. L’anno seguente andò peggio per la Brabham, ma meglio per la Arrows: il team creato da Sir Jack ottenne un solo successo in Francia con il solito Piquet (affiancato per questa stagione da Marc Surer). Fu l’ultimo successo della storia della Brabham, ma di contro fu anche il primo per la Pirelli (subentrata alla Goodyear) dopo ben ventotto anni. A fine stagione la squadra fu quinta (sopravanzata anche dalla Williams), e Piquet salutò la compagnia. Di contro, la Arrows fece un’ottima stagione: grazie alla giovane coppia formata da Thierry Boutsen e Gerhard Berger, la squadra inglese terminò ottava nei costruttori con quattordici lunghezze, ottenendo anche un podio ad Imola con il belga.

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Nel 1986 alla Brabham e alla Arrows si affiancò la debuttante Benetton, che aveva preso il posto della Toleman. La prima schierò il rientrante Patrese e Elio De Angelis, la seconda Surer e Boutsen e la terza Berger e Teo Fabi. Sul piano sportivo, quella che ne uscì meglio fu proprio la Benetton, vera rivelazione dell’anno: con una coppia di piloti validi, gomme Pirelli e un telaio all’altezza, fu costante per il resto dell’anno, riuscendo anche ad ottenere due pole con Fabi e due podi con Berger, tra cui l’incredibile vittoria a Città del Messico, in cui sfruttò la bontà delle coperture italiane per terminare la gara senza effettuare pit stop. A fine stagione conquistò 19 punti, e chiuse sesta nel mondiale, prima tra le vetture BMW. Per la Brabham, invece, fu un vero e proprio annus horribilis: la vettura, la BT55, detta “Sogliola” per la particolare forma schiacciata e per essere molto ribassata (cosa che costringeva i piloti a guidare quasi sdraiati), da che doveva essere la vettura della rinascita della Brabham si rivelò un vero e proprio fallimento, e riuscì a conquistare solo due punti. Ma, cosa ancor più grave, viene ricordata soprattutto per la scomparsa di De Angelis, avvenuta durante un test al Paul Ricard, e dovuta ad un grave ritardo nei soccorsi, meno celeri di quanto sarebbero stati in un weekend ufficiale. Il pilota italiano fu sostituito da Derek Warwick, che tuttavia non riuscì a fare nessun punto, e la squadra terminò al nono posto, davanti solo alla Arrows (che ne ottenne uno) tra i team che avevano raccolto punti. Nota curiosa, a fine stagione Bernie Ecclestone concesse un test ad un semisconosciuto pilota Nascar all’Estoril, Willy T. Ribbs. Questo fu il primo pilota di colore della storia a provare una F1, ben vent’anni prima che Lewis Hamilton salisse a bordo della McLaren. In realtà, non è chiaro se Ribbs fosse veramente in lizza per un sedile o se fosse soltanto una mossa pubblicitaria di Ecclestone (dubbio posto dallo stesso pilota in un documentario sulla sua vita), ma in ogni caso questo rappresenta un momento storico nella storia del motorsport.

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L’ultima stagione per la BMW in F1 durante il periodo turbo fu il 1987, con la sola Brabham: la vettura, la BT56, fu leggermente migliore della precedente, ma ancora decisamente lontana dai fasti del passato: Patrese e De Cesaris conquistarono due terzi posti, uno a testa, e il team chiuse il campionato all’ottavo posto con dieci punti. In sole quattro stagioni la Brabham era passata dall’essere il team di riferimento ad un semplice comprimario, e questo evidentemente non era abbastanza né per Bernie Ecclestone, né per lo sponsor principale (Olivetti)  e né per la BMW, che a fine stagione lasciarono il team. Nel caso della casa tedesca, si trattò proprio di lasciare la Formula 1, anche perché, con il ritorno dei motori aspirati previsto per il 1989, aveva decisamente perso interesse nella categoria. Ma, fortunatamente, non fu un addio.

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Il quasi rientro, l’Andrea Moda, la Bravo e la Simtek.

In realtà, già pochi anni dopo a Monaco di Baviera si iniziò a vociferare di un ritorno nella classe regina. A metà del 1990 si iniziò a parlare di un ritorno della BMW in F1, ma in realtà questa storia è abbastanza avvolta nel mistero. Venne disegnata una vettura, la S192, ma di essa non si hanno foto, ne si sa se effettivamente sia stata mai costruita o se di questa ci fosse solo un progetto. Fatto sta che ad un certo punto del 1991 la casa tedesca decise di abbandonare il progetto per un motivo o per l’altro, e l’avventura in F1 in forma ufficiale venne archiviata. In ogni caso, in un modo dell’altro ad entrarne in possesso, non si sa se dei soli progetti o se di tutto il telaio, fu una figura quasi leggendaria per l’automobilismo italiano: Andrea Sassetti. Ebbene sì, tecnicamente la mitica Andrea Moda era una BMW con un motore Judd! La stagione andò discretamente, e con discretamente intendo che si classificò solo a Monaco, scese in pista a Silverstone con le rain sotto un sole cocente, il patron venne arrestato a Spa e infine vennero banditi dal Circus a Monza. Comunque, una volta archiviata la storia dell’Andrea Moda, sarebbe legittimo pensare che l’avventura della S192 (rinominata S921) terminasse qui.

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Beh, sbagliate. Perché pochi mesi dopo iniziò a circolare la voce di un team tutto spagnolo, la Escuderia Bravo F1 España, scuderia iberica ma battente bandiera inglese di Adrian Campos e Jean Pierre Mosnier. Il team, supportato dal Governo spagnolo, avrebbe dovuto montare motori Judd (un classico per i team artigianali di fine anni ’80/inizio anni ’90), ma era nel budget il vero punto di forza: solo tre milioni di dollari. Per fare un esempio, la sgangherata Andrea Moda aveva circa il doppio dei soldi. Sul fronte piloti, per la S931 (nuovo nome di progetto) vennero scelti diversi candidati, tra cui Nicola Larini, Luca Badoer e Damon Hill (che nel 1993 corse per la Williams, quindi potete immaginare quale sarebbe stata la sua risposta), ma fu Jordi Gené, fratello maggiore di Marc, ad apparire alla presentazione della squadra nel febbraio 1993. Tutto sembrava pronto per l’esordio del team angloiberico, ma a quanto pare la macchina non era sicura. Anche qui, le fonti in nostro possesso sono piuttosto lacunose, ma pare che la macchina fosse troppo insicura, e che la Fia comunicò che non avrebbero passato mai i crash test, e che se avessero provato a presentarsi al via del mondiale sarebbero stati squalificati a vita. Il progetto della Bravo naufragò quindi per sempre.

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Ma non quello della (oramai) leggendaria S192. Infatti, il progettista che aveva disegnato la vettura, Nick Wirth, annunciò che nel 1994 avrebbe fondato un proprio team, la Simtek, e passò tutto il 1993 a testare la ormai obsoleta vettura per la stagione seguente. La vettura, la S941, è tristemente legata alla triste scomparsa di Roland Ratzenberger, avvenuta nel weekend di Imola del 1994 il giorno prima la scomparsa di Ayrton Senna. A parte ciò, i risultati furono imbarazzanti: nei due anni in cui corse (nel 1995 rinominata S951) non ottenne nessun punto, anche se ci andò molto vicina nel 1995 in Argentina, con Jos Verstappen costretto al ritiro ad una manciata di giri dalla fine mentre era in lotta per la sesta posizione. Fu l’unico flebile sussulto della carriera di questa macchina, che a Monaco abbandonò definitivamente il circus perché la Simtek andò in bancarotta. Tuttavia, questa macchina, passata attraverso quattro team, resta una BMW, anche se non si sa nemmeno se sia mai esistita fisicamente sotto le insegne della casa di Monaco di Baviera.

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Il ritorno con la Williams.

Dopo il quasi rientro in forma ufficiale, all’alba del terzo millennio la casa bavarese decise di tornare nella massima formula in veste di motorista. La scelta ricadde sulla Williams, team che negli anni ’90 aveva vinto di tutto, ma che nell’ultimo biennio, ’98-’99, aveva ottenuto scarsi risultati. Il motore, un V10 come voleva il regolamento, era accreditato tra i più potenti del Circus, anche se soffriva di alcuni problemi di gioventù. La coppia era formata dal confermato Ralf Schumacher, autore di una buona stagione nel 1999, e dall’esordiente Jenson Button, in sostituzione di Alex Zanardi. La prima stagione si aprì già in maniera positiva, con un terzo posto di Schumacher dietro le Ferrari del fratello e di Barrichello, aiutato anche dai ritiri delle McLaren e delle Jordan. Seguiranno altri due podi, a Spa e a Monza, sempre sul gradino più basso, e la stagione si chiuderà con un positivo terzo posto in classifica, dietro Ferrari e McLaren. La stagione successiva fu addirittura migliore, grazie anche al passaggio alle coperture Michelin: arrivarono ben quattro vittorie, tre con il tedesco, ad Imola, Montreal (vittoria passata agli annali perché con il secondo posto di Michael fu la prima doppietta tra fratelli della storia) e ad Hockenheim, e una per l’esordiente colombiano Juan Pablo Montoya a Monza, confermando così il terzo posto in classifica, ma con un distacco ridotto rispetto a McLaren e Ferrari. Il trend positivo venne evidenziato anche nel 2002, quando il team inglese si confermò seconda forza dietro solo l’imprendibile Ferrari, anche se arrivò una sola vittoria ad opera di Schumacher in Malesia. Con queste premesse, sembrava chiaro che nel 2003 la Williams-BMW sarebbe stata una valida contendente per entrambi i titoli.

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E così fu. La stagione 2003 visse infatti del triello tra una Ferrari decisamente in calo rispetto alle stagione precedenti, una McLaren che sembrava rinvigorita e una Williams oramai matura per il bersaglio grosso. La casa inglese soprattutto sembrava quella messa meglio: a differenza della Ferrari e come la McLaren, infatti, montava le gomme Michelin, che, soprattutto in condizioni di asfalto rovente, erano decisamente più prestazionali delle rivali Bridgestone, ma al contrario della McLaren poteva contare su una nuova vettura, la FW25, mentre il team di Woking fu costretto a correre per tutto l’anno con una versione evoluta della MP4-17 del 2002, a causa di errori nel progetto della MP4-18 che avrebbe dovuto sostituirla. Inoltre, la squadra di Grove aveva probabilmente la coppia di piloti migliori del momento, in quanto in Ferrari accanto a Schumacher c’era un Barrichello assoggettato al ruolo di seconda guida, mentre in McLaren, oltre ad un oramai in calo Coulthard, c’era un Raikkonen ancora acerbo. La stagione partì però abbastanza al rallentatore: nelle prime sei gare arrivò solo un podio di Montoya in Australia, ma la classifica molto corta permise ai due alfieri biancoblu di rimanere in lotta. Da segnalare anche la morte della madre dei due fratelli Schumacher, avvenuta dopo le qualifiche del GP di San Marino, motivo per cui Michael e Ralf abbandonarono il circuito per recarsi in Germania al suo capezzale rischiando di non correre, dopo aver conquistato entrambi la prima fila al sabato. Dalla gara di Monaco, tuttavia, il team si rese protagonista della parte centrale del campionato, grazie anche ad alcuni errori dei team e dei piloti rivali: nel Principato Schumacher ottenne la pole e Montoya il successo, a Montreal giunsero entrambi a podio dietro Michael con il tedesco davanti al colombiano, mentre al Nurburgring e a Magny Cours arrivarono due doppiette, sempre con Ralf davanti a Juan Pablo, che giunse secondo a Silverstone, primo ad Hockenheim e terzo a Budapest. Tuttavia, poco prima del GP d’Italia, in cui sembrava che sarebbe avvenuto il sorpasso nei confronti della Ferrari e di Schumacher (Michael), accadde l’evento che condizionò la stagione: durante un test a Monza, Ralf fu vittima di un brutto incidente, che lo costrinse a saltare la gara brianzola e di fatto ad abbandonare le sue ambizioni iridate, dando anche una mazzata decisiva alle speranze del team di conquistare il titolo costruttori. A sostituirlo fu Marc Gene, che giunse ottimo quinto anche se lontanissimo da Montoya. Il colombiano, intanto, si qualificò secondo, e alla Variante della Roggia sferrò un attacco all’altro Schumacher, che però si difese egregiamente. Da lì di fatto finì il suo mondiale: terminò la gara secondo, ma staccatissimo da Schumacher, e ad Indianapolis fu stranamente abulico, giungendo sesto ed uscendo matematicamente dalla lotta per il titolo. All’ultimo appuntamento a Suzuka la Williams avrebbe potuto ancora vincere il titolo costruttori soffiandolo alla Ferrari, ma il ritiro di Montoya, il dodicesimo posto di Schumacher (dopo un incidente con il fratello), e, soprattutto, la vittoria di Barrichello, distrussero definitivamente le possibilità per il team anglotedesco di vincere il campionato, bissando il secondo posto dell’anno precedente.

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Nel 2004 si registrò un notevole calo di competitività. La Ferrari fu semplicemente imbattibile, e BAR e Renault si dimostrarono decisamente migliori per il resto della stagione, mentre la Williams FW26 “a tricheco” fu meno efficace della precedente. I risultati migliori giunsero solo nella seconda parte di stagione, quando la macchina anglotedesca tornò ad una soluzione più tradizionale del musetto, e culminarono in un successo di Montoya nella gara finale in Brasile. Fu l’ultima vittoria dell’accoppiata Williams-BMW, nonché l’ultima per il team di Sir Frank per otto anni, fino al successo di Pastor Maldonado in Spagna nel 2012. La stagione successiva, il 2005, vide la sostituzione di entrambi i piloti: con Schumacher diretto in Toyota e Montoya in McLaren, a sostituirli furono Mark Webber e Nick Heidfeld. Giunsero quattro podi (tre per il tedesco e uno per l’australiano), ma perse un posto in classifica rispetto all’anno precedente, scivolando al quinto posto. Con dieci vittorie, quarantatré podi e diciassette pole position si chiuse definitivamente il rapporto tra il team di Grove e la casa di Monaco. A fine stagione infatti la Williams decise di passare ai motori Toyota, mentre la BMW rimase nel circus passando alla Sauber.

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Gli ultimi anni in F1: la BMW Sauber.

Alla fine del 2005 la Sauber era in una pessima situazione economica. I pessimi risultati ottenuti nelle ultime stagioni avevano portato il team sull’orlo del fallimento, costringendo il proprietario Peter Sauber a metterla in vendita. A farsi avanti fu proprio la BMW, che, terminata l’esperienza con la Williams, decise di approfittarne per rientrare come costruttore in proprio. Il team venne rinominato BMW Sauber F1 Team, e a capo c’era Mario Theissen, con Peter Sauber nel ruolo di consulente non operativo e la sede che rimase in Svizzera. Piloti per la prima stagione furono il confermato Jacques Villeneuve, campione del mondo 1997, e Nick Heidfeld, proveniente dalla Williams e che già conosceva quindi i motori teutonici. La stagione fu tutto sommato positiva, soprattutto per Heidfeld, che colse un ottimo terzo posto in Ungheria come miglior risultato. Villeneuve venne invece surclassato dal tedesco, e dopo un infortunio rimediato ad Hockenheim venne sostituito dall’esordiente polacco Robert Kubica, dapprima solo provvisoriamente, ma poi definitivamente, costringendo al ritiro l’ex iridato. Il pilota di Cracovia ottenne un ottimo terzo posto a Monza alla sua terza gara in carriera, e a fine stagione il team svizzero-tedesco terminò al quinto posto in classifica.

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La stagione 2007 rappresentò un notevole passo in avanti. La BMW Sauber si attestò tranquillamente come terza forza, lottando molto spesso per il podio e restando stabilmente in zona punti. Il momento clou della stagione avvenne in Canada: da un lato Heidfeld fu in grado di ottenere un notevole secondo posto dietro il solo Hamilton, il miglior piazzamento dalla stagione; dall’altro, però, Kubica fu vittima di un violento incidente, in cui ne uscì vivo quasi per miracolo. Nonostante riuscì ad evitare ferite gravi, dovette saltare il GP successivo ad Indianapolis, e a sostituirlo fu un giovane pilota tedesco, riserva del team, che avrebbe fatto molto parlare di se: Sebastian Vettel, che riuscì ad ottenere una notevole ottava posizione nella gara d’esordio, conquistando un eccellente primo punto in carriera. Dopo un altro podio in Ungheria, ad opera questa volta del polacco, avvenne l’altro fatto rilevante della stagione: a causa della vicenda della Spy Story, la McLaren venne squalificata dalla classifica costruttori, e questo comportò che la BMW salì al secondo posto in classifica: fu la miglior posizione per la storia del team, nonché la migliore per la casa bavarese (a pari merito con il 2002 e il 2003). Ma al di là della classifica, il potenziale della squadra sarebbe dovuto ancora emergere totalmente.

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La stagione 2008 fu il punto più alto della storia della BMW Sauber. La vettura, la F1.08, nacque molto bene, e fu fin da subito in grado di lottare con Ferrari e McLaren. Già al primo appuntamento stagionale in Australia Heidfeld conquistò un buon secondo posto, mentre nei due appuntamenti successivi Kubica ottenne altri due podi, oltre ad una pole position in Bahrain, l’unica della storia del team e l’ultima della BMW come motorista. Dopo un altro secondo posto del polacco a Monaco, il team tedesco si presentò in Canada con entrambi i piloti in piena lotta per il titolo con Hamilton e i due ferraristi. In qualifica Kubica ottenne la seconda posizione, ed in gara mantenne per il primo stint il passo di Hamilton. Al diciannovesimo giro entrò la Safety Car per un incidente di Sutil, e i primi quattro del mondiale, Hamilton, Kubica, Raikkonen e Massa entrarono ai box per rifornire. Il finlandese fu il più lesto, e riuscì a scavalcare tutti, dovendosi però fermare al semaforo rosso alla fine della corsia box accanto al polacco. Hamilton però non vide il semaforo, e tamponò in pieno la Ferrari numero 1, seguito anche da Rosberg. Kubica riuscì a ripartire, mentre Massa, vittima di un problema al rifornimento, non imbarcò benzina e fu costretto ad effettuare un secondo pit  stop, scivolando in fondo al gruppo. Heidfeld, intanto, si portò al comando dopo essere partito ottavo, sfruttando la strategia ad una sola sosta, e a quel punto parve chiaro che la lotta per la vittoria sarebbe stato un affare tra le due BMW e Alonso. Dopo il rifornimento del tedesco questo riuscì a rientrare davanti a Kubica, ma il polacco, nel circuito in cui l’anno prima aveva rischiato la vita, era in stato di grazia, e passò il compagno di squadra per poi involarsi e guadagnare un vantaggio sufficiente per rientrare davanti dopo la seconda sosta. Il testacoda di Alonso garantì tuttavia la doppietta per la BMW Sauber, che fece balzare il pilota di Cracovia in testa alla classifica piloti e il team di Theissen al secondo posto in quella costruttori, a soli tre punti dalla Ferrari. Durante il resto della stagione arrivarono altri cinque podi, ma un calo sia di prestazioni che di affidabilità fece perdere contatto con gli altri due top team. A fine stagione Kubica giunse quarto e Heidfeld sesto, mentre il team chiuse al terzo posto con ben 135 punti, e undici podi.

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Il cambio di regolamenti previsto per la stagione successiva non permise però alla BMW di confermarsi. I problemi con il Kers (Kubica era troppo pesante, e per le prime tre gare non potè usarlo mentre cercava di perdere peso) e l’ascesa di Red Bull, Toyota e, soprattutto, Brawn GP fecero sprofondare la squadra in classifica, in cui giunse sesta con solo due podi. A fine stagione la BMW decise di abbandonare la Formula 1, e questo comportò la cessione della Sauber ad un fondo d’investimento svizzero, la Qadbak Investments Ltd. Tuttavia, questo avvenne quando già la scuderia era stata iscritta al mondiale 2010, e che quindi corse ufficialmente come BMW Sauber Ferrari. Di fatto, l’ultima stagione della storia della BMW in F1 fu con motori Ferrari, strano quasi quanto quella volta che una Ferrari si presentò motorizzata Jaguar.

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Fu la fine di una storia lunga più di cinquant’anni, a periodi alterni e con risultati altalenanti. Oramai sono undici anni che la casa bavarese manca dal grande circus. Chissà se e quando tornerà. Ma nel frattempo, arrivederci al prossimo appuntamento con le nostre Storie di Scuderie.

sauber

Risultati in F1 (motorista).

270 Gran Premi

2° posto nel Mondiale Costruttori come miglior risultato (tre volte)

1 Mondiale Piloti

20 vittorie

33 pole position

86 podi

33 giri veloci

1021 punti

Risultati in F1 (costruttore).

2 Gran Premi

Mai classificato nel Mondiale Costruttori

Mai classificato nel Mondiale Piloti

12° posizione come miglior risultato in gara

23° posizione come miglior risultato in qualifica

0 punti

Risultati in F1 (BMW Sauber, BMW Sauber Ferrari).

89 Gran Premi

2° posto nel Mondiale Costruttori come miglior risultato

3° posto nel Mondiale Piloti come miglior risultato

1 vittoria

1 pole position

17 podi

2 giri veloci

352 punti





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Alfredo Cirelli

The author Alfredo Cirelli

Classe 1999, sono cresciuto con la F1 commentata da Mazzoni, da cui ho assorbito un'enorme mole di statistiche non propriamente utili, che prima che Fuori Traiettoria mi desse la possibilità di tramutarle in articoli servivano soltanto per infastidire i miei amici non propriamente interessati. Per FT mi occupo di fornirvi aneddoti curiosi e dati statistici sul mondo della F1, ma copro anche la Formula E (categoria per cui sono accreditato FIA), la Formula 2, la Formula 3, talvolta anche la Indycar e, se ho tempo, anche tutte le varie formule minori in giro per il mondo.