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Superlicenza FIA: è stato giusto escludere Colton Herta?





Negli ultimi giorni si è consumata la telenovela di Colton Herta, ipotizzato dalla Red Bull come probabile sostituto di Pierre Gasly in Alpha Tauri se quest’ultimo fosse andato in Alpine. Il pilota californiano, impegnato quest’anno in Indycar con il team Andretti, è stato però scartato dalla FIA poiché non in possesso dei requisiti necessari per accedere alla Superlicenza, la “patente” per poter correre in Formula 1. Ma come funziona questa Superlicenza? E, soprattutto, la FIA ha fatto bene a scartare Herta? Analizziamo la situazione.

Colton Herta
Joe Skibinski

Partiamo dal principio: cos’è la Superlicenza? La Superlicenza è una qualifica, introdotta nel 1984, necessaria per poter approdare in Formula 1. Per i primi trent’anni di attività, questa era abbastanza vaga: è vero che veniva concessa di diritto ai vincitori di alcune serie molto importanti (come la F3 italiana, quella inglese o la GP2, ad esempio), ma per il resto bastava possedere una Licenza di Grade A della FIA, tanto che fino al 2015 è stata concessa anche a piloti senza risultati particolarmente rilevanti nelle categorie minori. Nel 2016, a seguito dell’esordio di Max Verstappen, arrivato in F1 con una sola stagione in monoposto alle spalle, nella F3 europea (e senza neanche vincerla) e a 17 anni, i criteri per ottenerla sono stati totalmente stravolti: innanzitutto viene fissata la maggiore età (18 anni) come requisito necessario per correre in F1 (ed è abbastanza strano che nessuno c’avesse pensato prima), ma, soprattutto, viene fissato un “sistema a punti”, in cui i risultati ottenuti nelle categorie minori danno, in base alla posizione finale nel campionato e all’importanza della categoria, appunto, dei punti: per ottenere la Superlicenza è necessario raggiungere i quaranta punti nei tre anni precedenti allo sbarco in F1. Ci sono alcuni casi in cui la Superlicenza viene conseguita di diritto: è il caso dei primi tre classificati in Formula 2 e del vincitore della Indycar (QUI per la tabella completa). Inoltre, ci sono dei “bonus”, ossia si possono accumulare punti disputando le FP1 (un punto per ogni FP in cui si siano disputati almeno 100 km fino ad un massimo di dieci punti), vincendo il GP di Macao (5 punti, anche se con il Covid questa gara è passata dall’essere una corsa di F3 ad una banale gara della F4 cinese) e, infine, si può aggiungere un punto disputando un’intera stagione in un campionato FIA senza ricevere punti di penalità. Il sistema è stato leggermente ritoccato nel 2018 (soprattutto per l’unificazione tra la F3 europea e la GP3 e la nascita delle varie Formula Regional continentali) e, infine, nel 2020, a causa del Covid, sono state introdotte due postille: in primis, se nei tre anni precedenti è compreso il 2020, è possibile “utilizzare” i migliori tre anni dei precedenti quattro, scartando il peggiore; inoltre, se un pilota ha raggiunto i trenta punti, può ottenere la Superlicenza con discrezione della Federazione se dimostri che non ha potuto conquistare i punti necessari per “circostanze al di fuori del suo controllo o per cause di forza maggiore”. Questo è stato il caso di Pietro Fittipaldi, che nel 2020 ha potuto sostituire Romain Grosjean alla Haas negli ultimi due GP proprio per questa clausola (ne parlammo QUI).

Ora, il caso specifico. A seguito dell’effetto domino generato dal ritiro di Sebastian Vettel, nel corso dell’estate è stato ipotizzato il passaggio di Pierre Gasly in Alpine al posto di Fernando Alonso, a comporre una coppia tutta francese con Esteban Ocon: di conseguenza, come sostituto del transalpino in Alpha Tauri, la Red Bull aveva valutato Colton Herta: classe 2000, Colton è figlio di Bryan Herta (in Italia famoso soprattutto per essere il pilota superato da Zanardi al Cavatappi di Laguna Seca); vicecampione della Indy Lights nel 2018 (la serie propedeutica alla Indycar), corre dal 2019 nella Indy nel team Andretti, categoria in cui è diventato il più giovane vincitore di sempre, a 18 anni, 11 mesi e 28 giorni, nel corso del GP di Austin del 2019. Da quest’anno Herta è pilota di sviluppo della Mclaren, e ha avuto modo di effettuare una sessione di test (a Portimao) con la MCL35-M, la vettura dello scorso anno. Il nome di Herta era già stato fatto lo scorso anno per la Sauber, quando la Andretti stava cercando di acquistare il team elvetico; quella di quest’anno non era però una semplice voce, tanto da essere confermata direttamente da Helmut Marko. Tuttavia, dopo circa un mesetto, la cosa è sfumata nel nulla, poiché la Federazione ha deciso che Herta non avesse i requisiti necessari.

Guardiamo i risultati di Colton Herta: come detto, con il Covid contano i migliori tre risultati degli ultimi quattro anni. Al momento, il californiano vanta in Indycar un settimo posto (nel 2019), un terzo (nel 2020), un quinto (nel 2021) e un decimo (nel 2022): scartando il 2022, viene fuori un totale di 32 punti (20+8+4). Non abbastanza per ottenere la Superlicenza, ma sufficienti per chiedere alla FIA di accettarlo in extremis per le sopracitate “cause di forza maggiore”; ed è stata proprio la tattica adottata dalla Red Bull, che ha chiesto alla Federazione di accettare Herta in base a questa clausola. In risposta, la FIA ha detto che il caso dello statunitense non rientrasse nelle “cause di forza maggiore”, avendo corso tranquillamente senza prendere il Covid nelle ultime tre stagioni e in un campionato (la Indycar) che non ha avuto particolari limitazioni dettate dalla pandemia.

Colton Herta
Joe Skibinski

Ora, abbiamo appurato perché Herta non ha la Superlicenza; ma chiediamoci: è stato giusto non concedergliela? E soprattutto, è necessaria una riforma del sistema? Iniziamo dal primo punto: . O almeno secondo l’autore dell’articolo. Ad Herta non mancano uno o due punti, ma otto, che corrispondono al 20% del necessario; un gap da un lato abbastanza importante per non poter essere ignorato, ma dall’altro abbastanza esiguo da poter essere facilmente recuperato: come detto, avrebbe potuto fare un paio di FP1 da qui ad inizio anno, per poi disputare la Formula Regional Asia ad inizio 2023, campionato che, essendo appunto posizionato d’inverno quando le altre serie sono a riposo, viene tradizionalmente utilizzato sia come allenamento che come “integratore” di punti (così come la F4 UAE): il vincitore prende ben 18 punti, e, nel caso specifico di Herta, gli sarebbe bastato finire quarto per averla di diritto (o quinto con due FP1). Il fatto che la Red Bull non c’abbia pensato (con quattro macchine e con una regola che obbliga quest’anno a cedere la vettura ad un rookie per almeno due FP1 sarebbe stato abbastanza facile recuperare), fa pensare che fosse più una mossa “politica” che una vera intenzione di schierarlo, cercando di imporre alla FIA il proprio potere. Anche perché Herta non sarebbe dispiaciuto a Liberty Media: se c’è una cosa che manca al momento è proprio un pilota americano (l’ultimo fu Alexander Rossi nel 2015), e Herta, giovane, per di più figlio d’arte, sarebbe stato un ottimo collegamento non solo con gli USA come Stato (ricordiamo che il prossimo anno ci saranno tre gare statunitensi), ma anche con la Indycar, categoria che da diversi anni non forniva piloti per la massima serie a quattro ruote. Inoltre, con le voci di un probabile ingresso di Andretti in F1, al team americano probabilmente avrebbe fatto comodo che uno dei loro piloti di punta facesse esperienza per poi “riprenderselo” ad ingresso avvenuto.

C’è poi la seconda domanda: il sistema necessita di una riforma? Sempre secondo me, no. Molti (soprattutto piloti Indycar), nel corso delle ultime settimane, hanno auspicato una riforma dei criteri per l’assegnazione della Superlicenza: Zak Brown, ad esempio, ha detto che piloti come Max Verstappen (e grazie al Ca.. theram, visto che la regola è stata introdotta proprio per lui) e Kimi Raikkonen non sarebbero entrati in F1 con le regole attuali: ma francamente reputo questa affermazione sbagliata per tre motivi: in primis, è inutile andare a prendere esempi lontani nel tempo, come Raikkonen, Button e il ritorno di Schumacher in Mercedes (la Superlicenza resta per tre anni da quando è stata ottenuta o dall’ultimo GP disputato), perché parliamo di molto tempo fa, e sarebbe come dire che un uomo di cinquant’anni non avrebbe preso la patente se avesse fatto l’esame con le regole attuali del Codice della Strada: banalmente, se ci fosse stato lo stesso sistema, si sarebbero adeguati, e i vari fenomeni alla fine sarebbero usciti fuori. In secondo luogo, non si può basare la bontà del sistema sui migliori della classe, che comunque sarebbero arrivati in F1, ma va fatto sui peggiori: perché i piloti arrivati negli ultimi cinque anni, anche quelli “meno quotati”, hanno comunque dovuto conquistare risultati degni di nota per poter entrare in F1. Davvero ci siamo dimenticati di piloti senza alcuna esperienza o con risultati molto scarsi come Yoong, Ide e Rosset? E davvero volete dirmi che questi siano migliori dei piloti che abbiamo avuto negli ultimi cinque anni, con tutto il rispetto per loro? E, infine, una volta era possibile effettuare molte più sessioni di test: un giovane, anche con meno esperienza in risultati, poteva arrivare in F1 con già alle spalle l’equivalente di una stagione completa in termini di km percorsi: cosa che adesso è impossibile, e pertanto è necessario che il pilota prescelto abbia dei risultati dignitosi, ancor più di prima.

Ok, quindi il sistema nel complesso funziona; ma, come ha detto qualcuno, si potrebbe almeno aumentare l’importanza della Indycar. E anche qui mi trovo in disaccordo. Perché la Indycar al momento è la seconda categoria per numero di punti, dietro solo alla Formula 2, e credo che sia giusto così: perché è vero che vincere in Indycar sia decisamente più prestigioso che vincere in F2, ma è anche vero che la Superlicenza non stabilisce quale campionato sia più prestigioso, ma quale sia più funzionale per arrivare in F1; ed è ovvio che un campionato che corre sugli stessi circuiti (e nelle stesse date) della F1, con vetture decisamente più simili (e più veloci, anche se di poco) a quelle della massima serie, che non presenta ovali (che in F1 non ci sono, quindi è una skill abbastanza inutile) sia effettivamente un banco di prova migliore per correre in Formula 1; altrimenti, sarebbero nella lista anche il WRC, la MotoGP e la finale olimpica dei 100 metri. E comunque, se Herta avesse voluto andare in F1, avrebbe potuto anche vincere in Indycar: e sembra una cosa brutta da dire, ma quegli otto punti sarebbero potuti tranquillamente essere recuperati facendo una stagione migliore di quella 2022, in cui, nonostante un paio di belle prestazioni, troppo spesso è mancato il risultato; prendendo l’ultima stagione, viene fuori che il problema non è l’Indycar, ma lui, che verosimilmente non è pronto per il salto. Avessero voluto un giovane pilota proveniente dalla Indycar, in Red Bull avrebbero potuto pensare a Palou, che avendo vinto nel 2021 il campionato rispettava pienamente i requisiti; ma non l’hanno fatto, e sono rimasti con il cerino in mano.

Quindi sì, a parer mio il sistema non necessita di una riforma e la Federazione ha fatto bene ad escludere Herta in base ai suoi punti attuali. Ovviamente questa è un’opinione personale, che può essere sbagliata; ma, onestamente, credo che creare un precedente per Herta avrebbe potuto proiettarci a scenari ben peggiori, rendendo di fatto inutile una delle regole migliori mai introdotte dalla FIA nella storia della F1.





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Alfredo Cirelli

The author Alfredo Cirelli

Classe 1999, sono cresciuto con la F1 commentata da Mazzoni, da cui ho assorbito un'enorme mole di statistiche non propriamente utili, che prima che Fuori Traiettoria mi desse la possibilità di tramutarle in articoli servivano soltanto per infastidire i miei amici non propriamente interessati. Per FT mi occupo di fornirvi aneddoti curiosi e dati statistici sul mondo della F1, ma copro anche la Formula E (categoria per cui sono accreditato FIA), la Formula 2, la Formula 3, talvolta anche la Indycar e, se ho tempo, anche tutte le varie formule minori in giro per il mondo.