close
4 RuoteFormula 1Su pista

Attraverso i suoi occhi: intervista a Vladimir Rys, fotografo ufficiale di Red Bull Racing





Autodromo Nazionale Monza, sala stampa Tazio Nuvolari. È ormai scesa la notte sulla domenica del GP d’Italia quando vedo una figura avvicinarsi al dispenser dell’acqua. Alto, con i capelli arruffati e con degli occhiali dalla montatura arancione chiaro a circondargli gli occhi, Vladimir Rys cammina con calma tra tavoli e sedie ormai vuoti mentre sgranocchia qualcosa distrattamente.

vladimir rys

Per chi è appassionato di Formula 1 e fotografia, l’uomo che sta dietro a tutte le immagini mozzafiato che vengono pubblicate sui profili ufficiali di Oracle Red Bull Racing è una sorta di icona. Alcuni tra gli addetti ai lavori lo considerano il più bravo in circolazione, molti fotografi si dicono ispirati dai suoi scatti, tantissimi appassionati sono letteralmente rapiti da quello che il fotografo greco riesce ogni volta a immortalare. Io appartengo a quest’ultima categoria, e decido quindi che questo momento di quiete al termine del weekend sia il momento migliore per chiedergli un’intervista. “Con piacere” – risponde sorridente dopo un rapido giro di convenevoli – “Scrivimi a fine stagione e ci organizziamo senza problemi”. Detto, fatto: il 2023 si è concluso, abbiamo trovato un momento adatto per entrambi e siamo effettivamente riusciti a scambiare quattro chiacchiere sul suo passato, sul suo presente e persino sul suo futuro.

FT: Partiamo dagli inizi. Com’è nata la tua passione per la fotografia?

Vladimir Rys: È cominciato tutto quando avevo 14 o 15 anni. All’inizio mi appassionava il cinema: volevo diventare un cameraman, così per informarmi presi l’abitudine di andare nella biblioteca della mia città, che aveva diversi libri sull’argomento. Credo di avere letto tutti quelli disponibili, e a cambiare il mio punto di vista fu l’avere capito che anche cinema e film siano nati come una sequenza di immagini statiche. A quel punto, interessandomi sempre più a quell’aspetto, ho iniziato a focalizzarmi maggiormente sulla fotografia concentrandomi per capire come sviluppare la capacità di raccontare un’intera storia attraverso una singola immagine. Questo aspetto ha rappresentato una bellissima sfida per me, ed è il motivo per cui ho iniziato la mia carriera da fotografo.

FT: Diventare un fotografo in Formula 1 è stato il tuo obiettivo sin dall’inizio oppure è un qualcosa che in qualche modo è semplicemente successo?

VR: A voler essere del tutto sinceri, non ho mai avuto un particolare interesse nei confronti della Formula 1. È sempre stato mio padre il grande appassionato: quando ero piccolo ricordo che guardava in continuazione F1 e MotoGP, ma io ero piuttosto disinteressato. All’epoca e fino ai 18 anni ero più appassionato di calcio, che ho praticato fino a quando un infortunio al ginocchio non mi ha ridotto a più miti consigli, e di basket. Avendo però avuto da sempre un certo interesse nei confronti del mondo dello sport in generale, quando ho iniziato la mia carriera da fotografo è stato naturale ritrovarsi catapultati nel mondo della fotografia sportiva. Chiaramente già allora sapevo chi fossero Michael Schumacher o Ayrton Senna, ma a quei tempi non potevo considerarmi un vero appassionato. Pensa: quando il mio capo mi ha offerto di andare a lavorare in F1 per la prima volta, io ho rifiutato e al mio posto è stato mandato un mio collega. Due anni dopo mi è stata fatta la stessa richiesta, e non potendo tirarmi nuovamente indietro ho accettato il lavoro. È stato un colpo di fulmine: un nuovo mondo si era spalancato davanti ai miei occhi, dal punto di vista della fotografia mi sono innamorato della F1 seduta stante. Credo oltretutto che il non essere stato un grande appassionato mi abbia aiutato nei primi anni della mia carriera, perché quando mi imbattevo in Michael Schumacher o altri grandi piloti non subivo la loro personalità. Ero solamente concentrato sulla fotografia, mi interessava solo capire come avrei potuto immortalarli al meglio, e credo che questo aspetto abbia giocato a mio favore.

vladimir rys
© Evgenii Safronov

FT: Quando hai iniziato a lavorare in F1?

VR: Se non ricordo male la prima proposta lavorativa, quelle che poi alla fine ho rifiutato, mi è stata fatta nel 2004. No, forse addirittura nel 2003. Dopodiché, nel 2004, mi è stato detto che l’anno successivo avrei dovuto lavorare in F1: lì non ho avuto alcuna chance di tirarmi indietro, non avrei mai potuto rifiutarmi due volte. La prima gara che ho fotografato è stata in Australia, a Melbourne, nel 2005. È stato assurdo, vedevo tutto per la prima volta: non avevo idea di cosa dovessi fare, di dove potessi andare, di quali aree fossero vietate e di cosa potessi o non potessi scattare. È stato… interessante, ecco.

FT: Dicci qualcosa di più sul tuo lavoro con Oracle Red Bull Racing: si basa solo ed esclusivamente sulla tua ispirazione o il team ti impone delle linee guida?

VR: Io e Red Bull abbiamo esordito in F1 nello stesso momento, ovvero nel 2005, ma ho iniziato a lavorare per la squadra a partire dalla stagione 2007, quando loro erano alla ricerca di un fotografo creativo. In qualche modo si sono imbattuti nel mio nome, e da quel momento abbiamo dato il via a una collaborazione che dura ancora oggi. Sin dall’inizio non ho mai ricevuto alcun tipo di briefing, ho sempre goduto della più totale libertà, e questo per me è stato importantissimo tanto sul piano umano quanto su quello professionale. Si può dire che siamo cresciuti insieme, che in qualche modo l’uno sia riuscito a influenzare l’altro: dal punto di vista visivo penso che il team abbia adattato le proprie grafiche al mio stile fotografico, e lo stesso ho fatto io cercando il più possibile di andare loro incontro. Tuttora lavoriamo senza avere bisogno di alcun tipo di briefing. Vado ai GP, scatto le foto che voglio, invio tutto alla squadra dopodiché vedo tutti direttamente alla gara successiva. È un rapporto lavorativo che non esiterei a definire unico, perché mi dà tutta la libertà creativa di cui ho bisogno come fotografo. È questo l’aspetto che per me conta di più.

FT: Hai parlato di “rapporto” e hai detto che hai iniziato nel 2005. Ora che siamo vicini al traguardo dei 20 anni in F1, credi che in qualche modo sia cambiato il modo di rapportarsi che i piloti hanno con te? 

VR: Non così tanto. I piloti siano le stelle di ogni squadra, quindi è ovvio che godano di un trattamento particolare, di una posizione privilegiata all’interno di ciascuna scuderia. Alcune cose della F1 non sono cambiate, e tra queste c’è sicuramente il fatto che i piloti cerchino di mantenere una certa distanza nei confronti della maggior parte delle persone. Io mi reputo fortunato: ho stretto dei bei legami con alcuni piloti del passato, e ovviamente c’è un bel rapporto anche con i piloti Red Bull. C’è sempre stato un mutuo rispetto, e non ricordo di avere avuto dei problemi con qualcuno di loro, anche esterno alla scuderia. So che ci sono stati casi in cui è emersa qualche frizione tra qualche fotografo e qualche pilota, soprattutto sulla griglia di partenza, ma sono cose che possono capitare anche oggi. Ogni pilota ha un carattere diverso e in qualche modo bisogna adattarsi, ma se mostri il giusto rispetto e capisci che c’è una linea rossa che non deve essere oltrepassata puoi instaurare una relazione che ti consente di svolgere bene il tuo lavoro. Da questo punto di vista nel corso degli ultimi 20 anni posso dire che non è cambiato poi molto.

verstappen vladimir rys
© Vladimir Rys

FT: A proposito di cambiamenti: l’avvento di nuovi metodi di comunicazione e l’esplosione di alcuni social, ha in qualche modo cambiato il tuo approccio alla fotografia, tanto dal punto di vista artistico quanto dal punto di vista tecnico?

VR: Direi di no, anche se ovviamente il sempre più diffuso utilizzo dei social ha fatto sì che, rispetto a qualche anno fa, le foto e i video abbiano un’importanza sempre più grande. Non credo però che questo abbia cambiato il mio approccio: ci sono dei periodi, lunghi mediamente uno o due anni, in cui emergono dei trend, ma una volta che si è esaurita la loro spinta si torna sempre alle basi della fotografia. Se il tuo modo di scattare si basa su questi fondamentali che è necessario conoscere e sai anche come infrangere queste regole, la tua arte sarà praticamente senza tempo. Guardare alcune fotografie dopo 20, 30 o 40 anni potrebbe ancora fartele apprezzare proprio perché sono eterne. I trend e le mode vanno e vengono, ma le regole che rappresentano le fondamenta della fotografia e che hanno resistito dal giorno in cui la fotografia stessa è stata creata rendono gli scatti davvero senza tempo. Lo si vede nei lavori di alcuni grandi del passato, ed è un qualcosa che si nota per esempio anche nella pittura: i punti fermi dell’arte sono rimasti sempre gli stessi, ed essere in grado di portarli nella tua opera conferirà a quest’ultima un’anima eterna, capace di sopravvivere a qualsiasi tipo di moda o trend. La mia speranza è che qualcuno, tra diversi anni, guarderà ai lavori che allora saranno del passato e rimarrà stupito allo stesso modo in cui restiamo sorpresi noi oggi confrontando quello che facciamo adesso con quello che è stato fatto tempo fa. Capita spesso di credere di avere fatto tutto ciò che si potesse fare, dopodiché ci si imbatte in una foto degli anni ’60, ’70 o ’80 e non si può non provare un profondo rispetto nei confronti dei fotografi dell’epoca che riuscivano a farlo prima. Crediamo di avere scoperto tutto, ma in realtà moltissime di quelle cose sono state scoperte parecchi anni prima che arrivassimo noi e rappresentano ancora le basi del nostro lavoro.

FT: Ti piacciono le vecchie foto che hai scattato?

VR: Non tutte. Diciamo che ecco, non tutte sopravvivono sempre [ride]. Confesso però di avere alcune fotografie alle quali sono affezionato, perché mi piacciono davvero, ma devo dire che guardo al passato solamente in rare occasioni. Tendo a non soffermarmi su quello che è successo e su ciò che ho scattato, anche se si tratta di foto fatte solamente un anno prima, perché mi interessa solamente guardare avanti: voglio progredire, migliorarmi e portare qualcosa di nuovo, non voglio essere distratto da ciò che ho avuto già modo di sperimentare. Chiaramente capita che mi venga richiesto di cercare una foto scattata in passato e quindi mi tocchi rovistare negli archivi, ma per fortuna non sempre rimango deluso. A volte mi capita di trovare foto fatte 5, 6 o addirittura 10 anni che mi fanno dire “Beh, non ero poi così male all’epoca!”, altre volte invece emergono cose che non vorresti mai più vedere. In questo un ruolo importante l’hanno giocato anche i corpi macchina, che si sono evoluti moltissimo nel corso degli anni dal punto di vista tecnico: a livello di colori e di qualità, oggi siamo distanti anni luce da ciò che si poteva ottenere anche solo 10 anni fa. Anche questo è un aspetto di cui dover tenere conto quando si paragonano fotografie appartenenti a periodi diversi.

vettel vladimir rys
© Vladimir Rys

FT: Cerchi ispirazione anche da altri tipi di arti? Musica, film… 

VR: Letteralmente dappertutto. Ovunque tu vada, qualsiasi cosa tu faccia può essere fonte di ispirazione. Potresti andare a vedere un film e trovare ispirazione non nella pellicola ma nel cinema stesso, per esempio. Potresti leggere un libro e trovare un’idea tra le sue pagine. Potresti assistere a uno spettacolo, a un’esibizione e rimanerne ispirato, così come potresti avere un’intuizione sfogliando le pagine di un vecchio libro fotografico. Non ho avuto un maestro nel senso più pieno del termine, una persona che mi prendesse idealmente per mano e mi spiegasse cosa fare e quando farlo. Ho dovuto trovare la giusta strada a modo mio, e ho sempre avuto un enorme rispetto nei confronti di qualsiasi tipo di fotografia, in modo particolare quella in bianco e nero degli inizi del 20° secolo. Quel tipo di scatti ha sempre rappresentato un’ispirazione per me, soprattutto dal punto di vista della composizione e dell’utilizzo delle luci in una fotografia che poteva contare esclusivamente sul bianco e sul nero.

FT: Quando scatti una foto hai sempre in mente il risultato che otterrai?

VR: Accade solamente a volte. Nella maggior parte dei casi vado, osservo con attenzione quello che sta succedendo e immagino come sarebbe la scena se capitasse un certo… qualcosa. “Wow, sarebbe bello se accadesse questo”, e pensando a cosa potrebbe succedere adatto la mia posizione, cambio la lente, capisco come utilizzare le luci e aspetto. È tutta una questione di farsi trovare pronti nel momento in cui quel qualcosa avverrà, dopodiché il gioco è fatto: tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto in quella che è una sorta di Sacro Graal della fotografia. 

FT: Possiamo dire quindi che nel tuo lavoro la fortuna gioca un ruolo importante oppure no?

VR: Ha assolutamente un ruolo importante, ma come si suol dire la fortuna aiuta gli audaci. Devi farti trovare preparato e devi avere un certo talento, ma la sorte è sicuramente uno degli elementi dell’equazione. Mi piace pensare che in un certo modo si debba andare a cercare la fortuna, per poi essere pronti a coglierla avendo a disposizione tutte le capacità e le conoscenze necessarie per farlo. Credo che la fotografia sia davvero unica per come sia capace di trasferire su un’immagine, su dei colori stampati su una carta fotografica, le cose che vedi e che soprattutto provi. Tutto ha un ruolo in questo processo: la fortuna, il talento, le tue capacità tecniche ma anche le tue emozioni, la tua sensibilità. È un complesso di elementi, e bisogna essere bravi a trovare il giusto equilibrio tra di loro prima di scattare una foto.

schumacher vladimir rys
© Vladimir Rys

FT: C’è uno scatto che ti ha sorpreso? Un momento che non pensavi saresti riuscito a immortalare? 

VR: È un qualcosa che non mi è accaduto tanto spesso da quando ho iniziato a lavorare in F1. Capitava più frequentemente nel calcio, dove c’è un approccio, un metodo, del tutto diverso da quello che si ha in Formula 1. Per dirne una, durante una partita in uno stadio non puoi muoverti con la stessa libertà con cui ti muovi intorno a un circuito mentre c’è un GP. Nel calcio devi rimanere seduto in uno stesso posto, e sostanzialmente sei quasi costretto ad aspettare che qualcosa accada davanti ai tuoi occhi: a quel punto, se sei stato sufficientemente bravo e hai scattato la foto, il risultato a volte può sorprenderti. In F1 però è diverso, in qualche modo sei tu che devi andare a cercare l’immagine che vuoi immortalare. Certo, può capitare che succeda qualcosa di inaspettato come un incidente, un sorpasso inatteso o una manovra improvvisa, ma nella maggior parte dei casi sei tu che vai a trovare la foto. Capisci che parliamo di un approccio completamente diverso. Diciamo che i risultati non sono poi così sorprendenti, perché sai che hai lavorato con il preciso obiettivo di ottenerli.

FT: Quali sono stati il momento migliore e il momento peggiore che sei riuscito a immortalare?

VR: Parto dal momento migliore. Devo dire che, anche se con Sebastian abbiamo vinto quattro Mondiali consecutivi e un numero incredibile di gare, il miglior momento che abbia mai fotografato è stato il primo Mondiale vinto da Max, ad Abu Dhabi nel 2021. Tutto si è deciso all’ultimo giro dell’ultima gara: un’intera stagione condensata in poco più di un minuto di azione. Le emozioni che abbiamo provato tutti sono state letteralmente indescrivibili. C’erano persone che gridavano e piangevano di gioia nel garage, anche perché è stato un qualcosa di inaspettato dato che Lewis era riuscito a scavare un solco importante tra sé e Max a metà gara. Credo che Max e l’intero team abbiano meritato quel titolo, perché hanno lavorato in modo incredibile per tutto l’arco della stagione. Ci sono stati dei momenti in cui Max ha perso moltissimi punti anche per responsabilità altrui, e vedere che comunque tutto si è deciso all’ultima curva dell’ultimo giro è stato semplicemente incredibile. Ho un paio di momenti che definirei invece peggiori, ma ne scelgo uno al quale ripenso abbastanza spesso. Era il 2009 ed eravamo in Brasile, alla fine della gara che aveva matematicamente escluso Seb dalla lotta per quello che all’epoca avrebbe potuto essere il suo primo Mondiale. In pit lane erano tutti impegnati a festeggiare il nuovo Campione del Mondo quando mi sono ritrovato di fronte al garage Red Bull, completamente vuoto perché i meccanici erano andati a rilassarsi per qualche minuto nel paddock o nell’hospitality. Per puro caso ho intravisto qualcuno seduto nel retro del garage, e quel qualcuno era Seb: stava piangendo, da solo, in un momento che per lui dev’essere stato molto difficile. Mi sono avvicinato e sono riuscito a scattargli solamente due foto, dopodiché mi sono fermato per rispetto, perché sentivo che continuare avrebbe voluto dire violare la privacy di quel momento. Ho messo via la macchina e gli ho parlato per qualche minuto, dopodiché mi sono allontanato. Penso che quello sia stato uno dei momenti più difficili per Seb. È vero, poi il tempo ha rimesso a posto le cose dato che è riuscito a conquistare quattro Mondiali consecutivi, ma all’epoca credo che quello sia stato un momento buio per lui. 

FT: Parlando di futuro, cosa ne pensi dell’arrivo e dello sviluppo dell’AI? Credi che in qualche modo cambierà il tuo lavoro?

VR: Personalmente non credo che cambierà il mio approccio, ma penso che avrà indubbiamente degli effetti nell’industria fotografica. Temo che ridurrà il numero dei fotografi in attività andando a fare selezione, più di qualcuno potrebbe perdere il proprio lavoro. Dall’altra parte, questo farà sì che le foto scattate da chi sopravvivrà all’AI avranno ancora più importanza: l’intelligenza artificiale ha dei risvolti positivi, può aiutarti a risolvere diversi problemi, ma penso che non ti consentirà mai di riprodurre al 100% quello che vorresti trasmettere con una foto. È un po’ come fare il paragone tra mobili in legno prodotti in serie e mobili in legno realizzati artigianalmente: il materiale e il suo prezzo saranno gli stessi, ma i mobili fatti a mano costeranno di più per via dell’intervento della sensibilità, dell’occhio umano. L’AI farà sicuramente parte del futuro e non possiamo negarlo, ma credo che i fotografi riusciranno a sopravvivere perché, di nuovo, le basi della fotografia continueranno a esistere e ad avere il loro valore. Hanno resistito per secoli, non credo che basterà l’intelligenza artificiale a distruggerle del tutto.

verstappen vladimir rys
© Vladimir Rys

FT: Che rapporto hai con i tuoi colleghi? Vi scambiate consigli, cercate in qualche modo di crescere insieme? 

VR: Ho sempre cercato di avere un buon rapporto con tutti, non vedo un’utilità nel fare il contrario. Nella F1 c’è competizione a ogni livello, moltissimi ruoli sono ricoperti da persone che rappresentano il meglio in un certo ambito, ma non ho mai pensato che la competitività dovesse condurre alla maleducazione. Vuoi dimostrare di essere più bravo di me? Fallo, ma sul campo della fotografia: non c’è bisogno di essere scortese solo perché condividiamo lo stesso lavoro e siamo dunque concorrenti. Io personalmente amo la competizione, mi spinge continuamente a migliorarmi come fotografo. Ho diversi amici in F1, che rispetto moltissimo e con i quali ho un ottimo rapporto, e nonostante siano miei concorrenti riesco ad andare davvero d’accordo con loro. Se scattano una foto che trovo bella, quell’immagine mi porta a ragionare su come migliorarmi e su come diventare un fotografo migliore: tra di noi c’è una competizione positiva, perché il lavoro di ciascuno spinge gli altri a fare ancora meglio. Il limite deve essere questo, perché altrimenti viaggiare per la maggior parte dell’anno con persone con cui non vai d’accordo diventa difficile: la F1 si sposta tutta insieme, è come una grande famiglia, e quindi bisogna cercare di mantenere rapporti civili con tutti. Io cerco di essere amichevole con chiunque, rispetto i miei colleghi a prescindere dal fatto che siano fotografi tecnici, fotografi per riviste o fotografi per agenzie. Rispetto tutti perché so che tutti stanno cercando di svolgere il loro lavoro al meglio delle proprie possibilità, e inoltre rispetto in modo particolare i fotografi più anziani che sono in quell’ambiente da decenni e che in questi anni hanno visto e scattato di tutto. In definitiva posso dire di avere qualche amico in Formula 1, e credo che sia perfetto così.

FT: C’è una gara che ti ispira di più dal punto di vista fotografico? Per via magari dei tifosi, dell’ambiente… 

VR: La F1 è unica perché fa sì che ciascun circuito abbia la propria atmosfera. Anche nel calcio gli stadi cambiano ma, in fin dei conti, restano pur sempre degli stadi. In Formula 1 invece per via del paesaggio, del clima, dei tifosi, persino della lingua, cambia tutto da un luogo all’altro: Bahrain e Monza, per esempio, sono impossibili da paragonare. Ecco, Monza è una delle gare che apprezzo di più per via dei Tifosi, dell’atmosfera, ma in generale sono sempre stato molto ispirato dai vecchi circuiti permanenti. Monza, Monaco, Imola… i tracciati che hanno un’anima, un carattere, una storia. Anche Silverstone mi piace, nonostante molti lo odino per via del meteo o del layout, che rende difficile muoversi attorno alla pista e trovare il posto giusto per scattare la foto che si ha in mente. Io adoro Silverstone per via dell’atmosfera, del numero incredibile di tifosi che arriva in circuito in ogni giorno del weekend, della consapevolezza che percepisci nelle persone: tutti lì sanno cosa stanno guardando dagli spalti, perché è lì che è nato il Motorsport. Dal punto di visto dello scenario nel suo complesso, però, sono parecchio ispirato anche da tracciati moderni: Singapore è uno dei miei preferiti, ma Las Vegas ha offerto molti spunti e sta scalando rapidamente questa personale classifica. Posso dire che trovo più ispirazione nei vecchi circuiti, ma l’ispirazione la si può trovare ovunque, in qualsiasi tracciato. Non esiste una pista che non mi piacerebbe fotografare.

FT: Domanda secca: gara in notturna o gara di giorno?

VR: Amo le gare in notturna. Le luci, le scintille, i colori… mi piace tutto. Credo che l’atmosfera notturna valorizzi ulteriormente ciò che accade in pista e fuori. Adoro giocare con i colori, la composizione, la luminosità degli scatti: mi diverte molto.

singapore vladimir rys
© Vladimir Rys

FT: Esclusa la F1, c’è una gara o una categoria che ti piacerebbe fotografare?

VR: Non so. Limitando la domanda al mondo delle corse ti direi di no, perché credo che la F1 sia il meglio che si possa avere nel Motorsport. Mi sarebbe però piaciuto poter fotografare alcuni grandi atleti che ora non ci sono più o che hanno smesso di praticare il proprio sport. Ho sempre sognato per esempio di poter fotografare Michael Jordan in NBA, oppure Diego Maradona su un campo da calcio. Ricordo la prima foto che ho scattato nella mia vita. Non l’ho mai vista stampata, ma ricordo esattamente il momento in cui l’ho fatta: stavo guardando una partita dei Mondiali di Messico ’86 in TV con mio padre, e desideravo talmente tanto fare una foto a Maradona che lo fotografai in televisione. Avevo circa 8 anni, e con la macchinetta di mio padre scattai una foto allo schermo mentre Maradona era di spalle dopo essersi rialzato a seguito di un fallo. Diciamo che questi sono stati i miei sogni fotografici, ma nessuno di loro riguarda il mondo delle corse. Credo che la F1 sia il massimo a cui si possa tendere, e oltretutto è la categoria che voglio seguire. Ho avuto la possibilità di lavorare anche alla 24 Ore di Le Mans: è una gara incredibile, ma nonostante questo preferirei comunque rimanere in Formula 1. 

FT: C’è una storia, un falso mito, in qualche modo connesso alla tua professione di fotografo che vorresti raccontare?

VR: È una domanda difficile, non saprei rispondere. Posso dirti che il nostro lavoro ha anche i suoi risvolti meno positivi, legati al fatto che ovviamente si viaggi molto. Mi imbarco mediamente su 90 voli all’anno, quindi nell’off season non si ha voglia di vedere un aereo neanche in cartolina. Mi reputo fortunato ad avere del tempo libero tra un GP e l’altro: sono un freelance dal 2010, quindi posso tornare a casa tra una gara e l’altra, spegnere la mente e fare una sorta di reset prima della trasferta successiva. Questo ritmo mi permette di avere l’energia e la lucidità necessaria per disputare l’intera stagione su uno stesso livello, ed è un qualcosa di semplicemente fondamentale in campionati lunghi come quelli di questi anni. Io solitamente sono l’ultimo a uscire dalla sala stampa perché il mio lavoro ha una grande componente di dietro le quinte. Le persone non lo notano, ma chiaramente oltre al tempo che devo trascorrere in pista aspettando di scattare la foto che ho in mente c’è anche quello che devo passare davanti al PC per editare l’immagine. Se non sono l’ultimo a uscire dalla sala stampa sono il penultimo, al massimo il terzultimo, perché insieme a me rimangono spesso giornalisti e fotografi giapponesi. È sempre una bella lotta tra me e loro.

bottas vladimir rys
© Vladimir Rys

FT: Anche a Monza, quando ci siamo incontrati, eri una delle ultime persone rimaste in sala stampa…

VR: Sì, ed è più o meno sempre così. Chiaramente questo fa sì che la mattina dopo io arrivi in sala stampa più tardi di molti altri, e altrettanto chiaramente sono tutti lì ad aspettarti e a dirti “Ben svegliato!”, oppure “Dormito bene stanotte?”. Io vorrei sempre rispondere dicendo che ero ancora lì mentre loro erano a cena o addirittura già a dormire, ma lascio correre. Mi piace lavorare fino a tardi e poi dormire fin quando posso permettermi di farlo, e credo sia anche per questo mio modo di lavorare che apprezzo particolarmente le gare notturne. Las Vegas da questo punto di vista è stata incredibile lo scorso anno: sembrava stessimo lavorando su un fuso orario diverso da quello del Nevada, qualcosa di più simile al Giappone o comunque a una gara asiatica. Lì è stata dura, anche se è stato un GP che dal punto di vista fotografico mi è piaciuto molto. 

FT: Grazie mille per le risposte e per il tempo che ci hai dedicato. Buona stagione 2024 Vladimir!

VR: Grazie a voi ragazzi, grazie davvero: è stato un piacere, le domande erano molto interessanti A presto!





Tags : f1formula 1Red Bull racingrysvladimir rys
Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow