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Questa volta non è neppure servita la sveglia. Tanta era infatti la stanchezza dopo la prima giornata trascorsa in Autodromo che una volta tornato in albergo non ho neppure riflettuto sul fatto che la tenda fosse ancora scostata dalla mattina precedente. La luce del sole ci impiega dunque davvero poco per svegliarmi, concedendomi qualche decina di minuti per provare ad immaginare cosa potrà raccontarmi il secondo ed ultimo giorno di permanenza tra le fila di Lamborghini Squadra Corse.

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Mentre le porte dell’ascensore dell’hotel si chiudono, mi ritrovo a pensare che forse il mondo GT mi ha già detto tutto, lasciandomi ben poco da descrivere: ho già assistito ad una gara, ho visto il cambiamento comportamentale dei piloti, ho persino provato una Huracàn. Mi ci vogliono però forse venti passi, la distanza che separa l’ascensore dalla sala della colazione dell’hotel, per capire che mi sbagliavo di grosso. Il sabato, nel fine settimana monzese, è stato il giorno del Super Trofeo, il campionato monomarca griffato Lamborghini. E, come vi spiegavo nel precedente articolo, in un campionato monomarca se si è l’unico fornitore di auto c’è davvero poco per cui sentirsi in competizione con altre Case automobilistiche. Ecco perché gli sguardi erano distesi, i volti rilassati, i discorsi ameni: l’importante non era il risultato, quanto il comportamento del prodotto offerto ai clienti. La domenica, invece, è il giorno del Blancpain. Che tutto è tranne che un campionato monomarca. Lamborghini, Mercedes, Ferrari, Audi, McLaren, Jaguar, Nissan, Porsche. 52 vetture, di 8 marchi differenti, sono pronte a darsi battaglia lungo il nastro d’asfalto brianzolo in una gara che vedrà uomini e mezzi scontrarsi per 3 ore. Come vi ho già raccontato, nel Blancpain non esistono team ufficiali, direttamente gestiti dalle Case. Ma qui, rispetto al Super Trofeo, la voglia di vincere, il desiderio di vedere la propria creazione davanti a quelle degli altri li si percepisce eccome.

Me ne accorgo, per l’appunto, già mentre faccio colazione. Se sabato si scherzava, anche tra ragazzi di team differenti, ora l’aria è decisamente più tesa. C’è più silenzio, si è molto più chiusi nei propri pensieri e, pur rimanendo una grande correttezza tra le persone che compongono le varie squadre, i saluti e le pacche sulle spalle sono molto più rari. E’ la calma apparente che ho imparato a conoscere, quella che nasconde l’ansia generata dalla paura di veder svanire nell’arco di pochissimi secondi il risultato di un intero weekend. Hanno tutti già visto la Huracàn GT3 #66 centrare la vettura gemella #5 durante le Qualifiche, autoescludendosi così dalla gara. Sanno che una cosa simile potrebbe accadere a chiunque, con il destino di un intero fine settimana deciso in secondi, centesimi, attimi. Figurarsi se si può avere molta voglia di scherzare e di lasciarsi andare.

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Questo clima non è ovviamente mitigato dall’ingresso del paddock, che anche domenica mattina ferve di attività sin dalle prime ore della giornata. Questa volta ad aprire le ostilità motoristiche sarà Gara-2 del Super Trofeo e non più la Formula Renault, quindi mi riunisco al gruppo degli uomini Lamborghini e mi insinuo per la mia seconda Grid Walk tra le 45 Huracàn schierate in griglia. Si percepisce tanto di quello che ho avvertito sabato, ma c’è anche qualcosa di più. A seconda del piazzamento ottenuto in Gara-1, infatti, sulla griglia di Gara-2 si captano emozioni diverse. Nei pressi dell’equipaggio vincitore si avverte la soddisfazione per il risultato della corsa precedente unito all’ottimismo generato dalla consapevolezza di avere tra le mani una macchina veloce; in chi è arrivato distante dai primi si mescolano la determinazione a dare il massimo ed un po’ di scoramento, dovuto al non sentirsi a proprio agio con una vettura che probabilmente non potrà reggere il passo dei primi; in quelli che, pur avendo un gran ritmo, sono stati fermati o rallentati dalla sfortuna, arde il fuoco della rivincita. Sono questi ultimi gli equipaggi che catalizzano l’attenzione: nessuno scherza, nessuno parla, si è tutti concentrati sull’obiettivo, focalizzati sulla vittoria e solamente qualche sporadica frase di raccomandazione pronunciata dall’ingegnere nei confronti del pilota, già isolato dal mondo che lo circonda dal suo casco ed ancora più impassibile di quanto già non lo fosse il giorno prima, rompe un mutismo carico di pressione.

La sirena dell’Autodromo, come al sabato, gracchiando al cielo ci ricorda che dobbiamo sgomberare la griglia di partenza. E, sempre come al sabato, non appena l’ultima eco dell’avviso sonoro svanisce nell’aria dalle retrovie dello schieramento si sente il ruggito violento di uno dei V10, il cui grido si perde nell’arco di pochi secondi non appena anche gli altri 10 cilindri prendono vita. Questa volta decido di seguire la gara nell’ufficio di Lamborghini Squadra Corse, situato in una delle tante sale che costellano il palazzo dei box di Monza. C’è chi appronta le photogallery ufficiali che verranno condivise dia tifosi o utilizzate dai media, chi scrive la cronaca della gara e chi comunicati stampa. Sgattaiolo rapidamente tra gli uomini Lamborghini e arrivo davanti alla grande vetrata che sovrasta l’intera pit lane. Peraltro con un tempismo perfetto: riesco infatti a sedermi non appena ha inizio il valzer dei pit stop, ed il mio osservatorio privilegiato mi permette di osservare la sosta in tutte le sue fasi. Mi colpisce ancora una volta l’atteggiamento dei piloti: per combattere la tensione dell’imminente ingresso in auto, c’è chi fa esercizi per sciogliere i muscoli, chi si muove nervosamente tenendo tra le mani il proprio sedile, chi rimane impassibile. Modi diversi per contrastare un’ansia identica.

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Arriva il momento della sosta, e mentre i meccanici si affannano per sostituire gli enormi pneumatici Pirelli ha inizio la procedura di cambio del pilota. Il driver che ha appena concluso il suo stint sembra quasi venga sparato fuori dal ventre della sua vettura, tanta è la velocità con cui fa spazio al suo compagno di equipaggio. Compagno di equipaggio che, a propria volta, si lancia letteralmente nell’angusto abitacolo, venendo inghiottito dal roll-bar mentre sistema sedile e cinture nel minor tempo possibile. L’operazione richiede intorno ai 25″, ma nel campionato GT c’è una regola che impone di dover rispettare, durante i pit, un tempo minimo di stop nella piazzola dei box. Il countdown dà l’impressione di non dover finire mai, con il V10 Lamborghini che, minaccioso, ringhia sommessamente in attesa di poter liberare di nuovo tutta la potenza di cui è capace. Poi, ad un cenno di uno dei meccanici, viene dato il via libera ed il pilota può di nuovo dare gas per lanciarsi nuovamente in pista. La corsa è tiratissima tra rimonte, sorpassi, difese e tentate fughe, ed anche i 45 minuti di Gara-2 scorrono via rapidamente. Allo sventolare della bandiera a scacchi do una rapida occhiata al programma della giornata, e mentre i motori delle Formula Renault cominciano a ronzare rabbiosi come uno sciame di vespe inferocite, preparandosi per l’ultima gara del loro weekend monzese, mi rendo conto di avere un paio d’ore libere prima della partenza del Blancpain. Decido quindi di lasciare l’ufficio della Squadra Corse e di incamminarmi di nuovo verso l’hospitality Lamborghini. Mai scelta fu più saggia.

“Vuoi partecipare alla Lamborghini Parade? Facciamo qualche giro in pista con le Huracàn dietro ad una Pace Car, ti va?. Sostanzialmente, io ho definito questo weekend come il fine settimana in cui mi hanno chiesto se avessi voglia di fare cose che tutti avrebbero non solo voluto fare, ma anche pagato per fare. Confesso tra l’altro che, forse ingenuamente, quando ho accettato pensavo si trattasse di girare come passeggero assieme ad uno dei ragazzi della Squadra Corse. “Ma anche se seduto sul sedile di destra” – mi sono detto – “qualche giro sull’asfalto dell’Autodromo Nazionale di Monza su un’auto come la Huracàn non è una di quelle esperienze che si fanno tutti i giorni”. Ma è stato dopo aver detto che avrei partecipato volentieri, quando ho sentito la frase “Perfetto, allora riempi questo modulo con i dati della patente!, che ho realizzato che dietro al volante ci sarei stato di nuovo io. Ed è lì che penso sinceramente che il mio cuore abbia saltato un battito per l’emozione. Credo di non aver mai compilato qualcosa con la stessa rapidità di quella mattina, e dopo un rapido briefing mi catapulto fuori per tornare da lei, l’Huracàn LP610-4 che mi aveva stregato appena la mattina prima. Ma come per il test, anche per questo capitolo della storia dovrete attendere ancora un po’. Troppo c’è da dire, sull’esperienza e sull’auto, per poter condensare tutto qui.

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Vi basti sapere comunque, come piccola anticipazione, che per ritrovare una salivazione normale ho impiegato buoni 15 minuti ed una quantità non indifferente di bicchieri d’acqua. Bevuti peraltro in tutta fretta, perché non faccio nemmeno in tempo a rientrare nell’hospitality che mi viene proposto di fare un’altra Grid Walk, quella del Blancpain. E, come vi spiegavo poco più sopra, per quale assurdo motivo avrei dovuto rifiutare una proposta simile? Anche perché, se dal punto di vista dei piloti stavolta sì che cambia poco – stessi sguardi glaciali, stessa calma tesa, stessa concentrazione inumana – inizio a vedere che, pur non essendoci un vero e proprio team ufficiale per le varie Case, qualcosa di diverso c’è. Gli uomini Lamborghini, ad esempio, sono più tesi. Passano in rassegna quasi nervosamente le vetture in griglia, assicurandosi che sia tutto in ordine. Il Blancpain non è il Super Trofeo, e me ne accorgo dopo aver fatto forse 50 metri sulla griglia di partenza. Qui i Tori non sono nell’allevamento, sono nell’arena. E nell’arena si combatte.

Ritrovo un’atmosfera a me molto familiare, e stavolta non attendo neppure che la sirena laceri di nuovo l’aria del pomeriggio di Monza per dirigermi velocemente verso l’ufficio della Squadra Corse. Dove, una volta varcata la soglia, adesso sì che vedo qualcosa di molto simile alla trepidazione. E’ come se tutto il weekend fosse stato una preparazione a questo momento, e si percepisce la tensione nell’aria quando, all’uscita della parabolica dopo il giro di lancio, l’urlo dei motori sale altissimo al cielo e viene dato il semaforo verde che indica l’inizio della gara. Ed è una tensione che in casa Lamborghini non si stempera affatto dopo il via, visto che uno degli equipaggi di punta, il #19 del Team Grasser che partiva 2°, viene spinto fuori pista da una Bentley, causando una carambola che coinvolge almeno cinque vetture causando l’esposizione di una bandiera rossa. Bisogna attendere quasi mezz’ora prima che l’ultimo detrito sia rimosso dalla pista e le barriere vengano rimesse al loro posto: poi, di nuovo, la partenza lanciata dà il via alle ostilità. La gara, che per l’occasione è una Endurance di 3 ore, è scandita dal susseguirsi di giri veloci, di duelli e di pit stop, che avvengono letteralmente sotto i miei occhi e sotto gli occhi degli uomini Lamborghini, che osservano con attenzione praticamente tutte le vetture del Toro. Ne seguono la gara, ne osservano gli stint, sembrano quasi accudirle con lo sguardo per assicurarsi che nulla vada storto, neppure durante le fasi dei pit stop.

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A mezz’ora dal termine, dopo una gara tiratissima, c’è la svolta in casa Lamborghini: la Huracàn #63 del Team Grasser, la gemella di quella brutalmente eliminata nel corso dei primissimi metri di gara, prende la testa della corsa ed inizia ad accumulare vantaggio. L’affidabilità non è un problema, per le auto del Toro. Il fatto di essere costruite nella stessa linea di produzione della versione stradale permette infatti un controllo quasi maniacale della vettura durante tutto il processo di gestazione. Gli uomini Lamborghini si fidano delle loro Huracàn, e da dopo il sorpasso sembra quasi di vedere la tensione sciogliersi. Al punto che decido, viste le prime luci del tramonto, di godermi gli ultimi minuti di gara sulla tribuna della Prima Variante. Scalate furibonde, ruote bloccate – e dechappate, vero Audi R8? -, accelerazioni brutali, controsterzi salvati all’ultimo momento: in una sola parola, Motorsport. Rimarrei per ore assorto a guardare quei mostri girare su una pista così bella, ma è mentre penso a quanta poesia ci sia nel concludere la gara proprio prima dell’imbrunire che lo speaker dell’Autodromo mi riporta bruscamente alla realtà ricordandomi che manca solamente un giro al termine della gara. Decido allora di riavviarmi verso l’hospitality Lamborghini, per capire che aria si respiri dopo un successo simile, arrivato quasi insperato dopo un inizio di weekend difficile.

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E, come nel pre-gara, anche qui trovo un’atmosfera molto simile a quelle che ho già avuto modo di vivere in Force India e Honda. E’ vero, non ci sarà un team ufficiale vero e proprio, ma vedere davanti a tutti una Huracàn, un prodotto del marchio, è indubbiamente un motivo di grande soddisfazione per tutti gli uomini che lavorano sotto l’egida del Toro. I sorrisi di tutti sono ora rilassati, le pacche sulle spalle, le strette di mano, gli abbracci di congratulazioni saturano l’aria. Ed è questa, con tante persone che si complimentano l’una con l’altra, l’ultima immagine che conservo dell’hospitality Lamborghini. Sì, perché per me c’è ancora una cosa da fare: andare ad ascoltare la conferenza che la Casa di Sant’Agata Bolognese ha preparato per raccontare auto, piloti e progetti futuri. Ci vogliono poco più di 25 minuti per renderci edotti, rigorosamente in lingua inglese, dei risultati monstre che il marchio del Toro è stato, è e sarà in grado di generare – come ad esempio la linea di produzione 2017 della Aventadòr già esaurita -, ma sono sufficienti per far calare definitivamente le ombre sull’Autodromo.

E’ un paddock avvolto nell’oscurità, quello che mi accoglie una volta uscito dalla sala conferenze. Ma basta la fioca illuminazione del retrobox per farmi capire che, come sempre accade a sole poche ore dallo sventolio della bandiera a scacchi, il paddock ha già cambiato volto: alcuni camion sono ripartiti da ore, altri si apprestano a farlo, ed è un continuo turbinio di casse, pneumatici, pezzi di carrozzeria che vengono trasferiti dai box fin dentro ai rimorchi, per poter tornare il più in fretta possibile nei rispettivi quartier generali. Capisco che il momento di separarmi di nuovo dall’Autodromo è vicino, e quindi faccio ritorno nell’ufficio della Squadra Corse per salutare e ringraziare gli uomini Lamborghini, che mi hanno accolto come meglio non si potrebbe permettendomi di vivere un’esperienza fantastica e di realizzare anche qualche sogno nel cassetto.

Poi, per l’ultima volta nel corso del weekend, varco la soglia della sala stampa. Mi siedo nuovamente vicino ai fotografi, per sistemare un po’ il materiale raccolto durante il fine settimana, e non riesco a fare a meno di sorridere pensando a quanto fossi sciocco ad essere scettico sul fascino dei campionati GT. Un tipo di campionato diverso rispetto F1 e MotoGP, è vero. Ma un tipo di campionato che condivide con queste altre due categorie la stessa fantastica caratteristica: una volta vissuto sulla propria pelle, ti entra decisamente nel cuore. Per non uscirne mai più.

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Fotografie: ASPhotography





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow