Fa molto caldo a Dallas, in Texas, l’8 luglio 1984. Nella domenica in cui viene disputato il Gran Premio di Formula 1, una cappa di calura asfissia senza pietà la città statunitense, lasciando boccheggiante chiunque. Lontano dal box della Toleman, i lineamenti distorti dall’aria calda, un giovane esordiente brasiliano risale a lenti passi la Pit Lane. Si è da poco ritirato, ha la tuta bianca madida di sudore, guanti rossi, sguardo indecifrabile ed un casco giallo.
Ayrton Senna aveva alle sue spalle 8 GP di Formula 1 quando, alla guida di una Toleman che senza troppe pretese ma con molte speranze ambiva a ritagliarsi un triangolo di cielo in un Olimpo apparentemente irraggiungibile, su di un asfalto butterato dal tempo e macerato dal caldo riuscì a conquistare la 6^ posizione al termine delle qualifiche del GP degli Stati Uniti. Il mondo della Formula 1 stava ancora imparando a conoscere colui che l’avrebbe cambiata per sempre eppure, anche se dopo soli otto appuntamenti, già nessuno aveva l’ardire di pensare che quel risultato ottenuto in qualifica da quel tale Ayrton Senna fosse figlio del caso. A quel ragazzo brasiliano piuttosto silenzioso erano infatti serviti appena due Gran Premi per conquistare i primi punti iridati a bordo di una monoposto modesta, e solamente sei gare erano state disputate dall’inizio dell’anno quando la Toleman ed il suo pilota dal casco giallo avevano domato la furia degli elementi tra gli stretti muretti del Principato di Monaco.
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Quando Ayrton Senna torna ai box, l’8 luglio del 1984, è reduce sconfitto di una gara corsa in condizioni proibitive. Nessuno tra i piloti presenti a Dallas si esime infatti dal criticare un manto stradale impresentabile, totalmente inadatto ad ospitare un GP di Formula 1. L’asfalto vecchio soffre, il caldo spietato lo finisce: interi pezzi di pista vengono divelti dai pneumatici delle monoposto, ed una raffazzonata riasfaltatura di alcuni settori del tracciato non migliora la situazione mettendo di fronte i piloti ad un’insidia in più. Oltre ai muretti, al cronometro ed agli avversari, ciascuno di loro dovrà infatti vedersela anche con il circuito, improvvisamente diventato forse il maggior ostacolo tra essi e l’anelata bandiera a scacchi.
Scattato dalla 6^ casella dello schieramento, Senna aveva impiegato pochissimi metri ad agguantare la 4^ posizione. Sfruttando le noie tecniche occorse alla Ferrari di René Arnoux e scattando meglio della McLaren di Niki Lauda, l’esordiente brasiliano si era subito lanciato all’inseguimento della Renault di Derek Warwick e della coppia di Lotus – affidate a Nigel Mansell ed Elio De Angelis – prima che l’ardore e la foga giovanili non gli presentassero il conto: Senna, nel tentativo di sopravanzare Warwick ed agguantare così il gradino più basso del podio, finisce in testacoda al secondo giro, dovendo oltretutto attendere che circa metà del folto gruppo di inseguitori lo superi prima di trovare spazio a sufficienza per fare manovra e tornare in corsa in sicurezza. Avendo accusato anche una foratura per via di un contatto con uno dei numerosi muretti, Senna era stato costretto a rientrare ai box per una sosta anticipata: le posizioni perse rispetto a quella 6^ da cui era partito erano ormai parecchie, ma le difficili condizioni in cui versava il tracciato di Dallas erano per il brasiliano un’occasione per far valere le proprie capacità di guida.
Tornato in pista nelle retrovie, il casco giallo e la Toleman avevano iniziato rapidamente a risalire la classifica. I muretti del tracciato a stelle e strisce stavano facendo scempio di parecchie vetture costringendolo al ritiro, e quando non intervenivano gli incidenti altrui per far guadagnare posizioni ad Ayrton Senna provvedeva il suo immenso talento. La Toleman-Hart 184 guizzava tra i cordoli: tra le mani di quel brasiliano che la Storia del Motorsport avrebbe di lì a poco imparato a venerare, la modesta monoposto della scuderia inglese pareva in grado di andare oltre i propri limiti. Nel corso del 47° passaggio, tuttavia, la furibonda rincorsa alla zona punti del pilota paulista si era infranta in mille pezzi: Ayrton Senna, coinvolto anima e corpo in una rimonta che a sua insaputa sarebbe stata a lungo ricordata, era finito contro un muretto, causando alla sua Toleman dei danni che le avevano impedito di proseguire. Inevitabile era giunto il ritiro.
“Si è spostato il muro”, dice Ayrton Senna mentre posa casco e guanti nel box della Toleman sedendosi per il debriefing. I presenti lo guardano attoniti, credendo probabilmente di aver sentito male. Senna li guarda negli occhi, uno per uno, e senza battere ciglio ribadisce quanto detto poco prima: “Si è spostato il muro”. Di scuse pronunciate da un pilota nel tentativo di giustificare un proprio errore, molto probabilmente, i meccanici e gli uomini della scuderia inglese dovevano averne già sentite parecchie. Di così originali, tuttavia, verosimilmente nessuna. “Certo, si è spostato sicuramente…”, replica con tono accondiscendente un giovane Pat Symonds, all’epoca ingegnere di Ayrton Senna. Il tecnico britannico pensava forse che, dandogli ragione, il brasiliano avrebbe desistito dal sostenere la tesi del “muro semovente”, davvero troppo fantasiosa ed assurda per poter risultare credibile. Il giovane paulista, tuttavia, non vuole sentir ragione: quel muro che aveva colpito non era nella stessa posizione in cui si trovava durante il giro precedente, altrimenti – a detta di Ayrton – lui lo avrebbe certamente evitato percorrendo la sua solita traiettoria.
Persuaso dall’insistenza di Senna e convinto delle eccezionali capacità di quel ragazzo, Symonds decide quindi di fare una verifica: assieme ad altri uomini della Toleman, l’ingegnere inglese cammina lungo il tracciato fino ad incontrare il muretto che aveva tradito il suo pilota solamente poco prima. Impiega un solo istante ad individuare quale sia il blocco di cemento ad aver causato il ritiro di Senna. Perché è l’unico che, rispetto a tutti gli altri ed esattamente così come sosteneva il talento brasiliano, era avanzato di pochi millimetri all’interno del circuito.
“Faceva davvero caldo, era una gara terribilmente difficile“ – racconta Symonds – “Per Ayrton si stava rivelando un GP dal sapore dolceamaro: le qualifiche erano andate secondo i nostri piani, ma un errore in gara lo aveva costretto ad una rimonta dalle retrovie. Avrebbe centrato anche un buon risultato se non avesse avuto quell’incidente: toccando il muro, aveva danneggiato una ruota e rotto l’albero di trasmissione. A fine gara era letteralmente sconvolto, non riusciva a capacitasi di come avesse potuto toccare il muro. Lo ricordo come fosse ieri: eravamo seduti, stavamo parlando nel corso del debriefing, e lui disse ‘E’ impossibile che io abbia colpito il muretto. Si è spostato’“. “Cosa pensate che gli abbia risposto? ‘Certo, si è sicuramente spostato…'” – prosegue l’ingegnere inglese – “Era tutto composto da enormi blocchi di cemento, era impossibile. Eppure lui era così insistente ed io avevo una tale fiducia nei confronti di quel ragazzo che dissi ‘Ok, per capire se quel che dici è vero non dobbiamo fare altro che andare in pista e controllare se il muro si sia spostato davvero'”.
“Ammetto che credevo anche in quel momento che stesse dicendo stronzate, ma pareva aver davvero bisogno di dimostrarmi che aveva ragione” – aggiunge – “Quindi siamo usciti, siamo arrivati lì dove aveva colpito il muro e indovinate un po’? Il muro si era mosso davvero. Avevano delineato i limiti del circuito con del pesantissimo cemento, ma uno dei piloti che era transitato in quel punto prima di Ayrton aveva toccato su un lato uno dei blocchi facendo sì che il margine opposto sporgesse verso l’interno del circuito di appena pochi millimetri. Ayrton in quella fase del GP stava guidando con una simile precisione che quei millimetri, e credetemi quando vi dico che parliamo di al massimo 10, erano stati sufficienti a fargli colpire il muro piuttosto che ad evitarlo percorrendo la sua solita traiettoria”. “Quell’episodio mi ha davvero aperto gli occhi“ – conclude Symonds – “Avevo intuito che quel ragazzo fosse bravo, ma in quella circostanza ho capito quanto fosse speciale. Era unico non solo il suo stile di guida, lo erano anche la convinzione nei propri mezzi, l’analisi della situazione e la capacità con cui era in grado di trarre conclusioni: non posso essermi sbagliato, quindi dev’essere stato il muro a spostarsi. Chiunque altro avrebbe detto ‘Cavolo, ma come diamine ho fatto a sbagliare in quel modo?’, ma lui era inamovibile“.
Inamovibile nel non lasciare nulla di intentato per recuperare posizioni. Inamovibile nel suo spingere il mezzo fino al limite estremo. Inamovibile nel suo non voler ammettere di aver sbagliato. Inamovibile, semplicemente, nel suo essere Ayrton Senna.