Il crepitio secco delle fiamme spezza la quiete di quello che, il 2 maggio del 1986, in Corsica è un tiepido pomeriggio di primavera. Volute di fumo nero, denso, acre si alzano dal fondo di un piccolo dirupo, appena dietro una delle tantissime pieghe a sinistra che costellano la stradina che passa poco più sopra. Lingue di fuoco implacabili, impietose, sono intente a fare scempio di un’auto. E’ una Lancia Delta S4 con il #4 che campeggia sulla carena. Ed al suo interno, intrappolati nell’inferno, ci sono Henri Toivonen e Sergio Cresto.
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Per Lancia è un incubo che torna a bussare con violenza alla porta dei sogni. E lo fa per di più con una ciclicità che dall’inquietante pare sfumare nel macabro. Quando la vettura della Casa torinese finisce fuori strada durante la 18^ Prova Speciale del Tour de Corse, portandosi via il pilota finlandese ed il suo navigatore italiano, sono trascorsi 365 giorni esatti dal pomeriggio in cui a bordo di un’altra Lancia, anch’essa impegnata in Corsica in una tappa del Mondiale Rally, avvolta nella stessa iconica livrea Martini e con il #4 impresso sulla carrozzeria, si era spezzata la vita di Attilio Bettega.
Era passato un anno da quando il rallysta di Molveno era morto a seguito dell’impatto della sua Lancia 037 contro un albero. L’incidente che aveva visto coinvolto Bettega, rimasto ucciso a seguito di un colpo che aveva avuto la forza di spezzare letteralmente a metà l’auto, era riuscito a scuotere coscienze, cuori e menti. Si era iniziato a sospettare che i rally così come venivano disputati allora stessero diventando troppo pericolosi, alcuni avevano cominciato a dubitare della sicurezza delle vetture del Gruppo B: troppo potenti, troppo veloci, troppo fragili, troppo crudeli. Il fatto che Maurizio Perissinot, navigatore di Bettega, fosse rimasto illeso a seguito di quell’impatto spaventoso non era stato abbastanza per sopire i dubbi: tutti avevano intuito che il compagno d’equipaggio del pilota di Molveno era scampato ad una triste sorte solamente per miracolo.
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Nella squadra Lancia il ricordo della tragedia di Bettega è quindi ancora ben presente quando, il 2 maggio 1986, al Parco Assistenza iniziano a giungere voci che raccontano di un dramma ancora più grande. Un’auto è uscita di strada, dicono alcuni. Il serbatoio è stato compresso dall’impatto e la benzina che ne è fuoriuscita ha preso fuoco rendendo la macchina un rogo, dicono altri. Speriamo che siano delle informazioni sbagliate e che la situazione reale sia meno grave di come la descrivono, sperano tutti.
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Ma non è così. Bruno Saby e Miki Biasion, i primi a giungere sul luogo del disastro, non possono nulla: privi come sono di adeguati mezzi di soccorso, i due sono costretti ad assistere impotenti al rogo che sta martoriando la vettura della Casa torinese non lasciando scampo a Sergio Cresto e ad Henri Toivonen, che in Corsica aveva dichiarato di non voler correre mai più dopo quell’anno. Quando i due rientrano al Parco Assistenza, diversi minuti dopo l’incidente, il mondo dei rally sa già tutto: un altro incidente, altre due vittime, in uno sport che viene così messo di fronte alla necessità di reinventarsi nella maniera più brutale possibile. Attilio Bettega, Henri Toivonen e Sergio Cresto non possono, non devono essere morti inutilmente.
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Le fiamme che hanno straziato quella Delta S4 non crepitano più. Le fiamme che hanno riportato il mondo dei Rally in un abisso di dolore stanno morendo. E con esse, al calar del sole nel giorno più nero di Lancia, stanno morendo anche le Gruppo B.