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Ci stiamo avvicinando alla 24 Ore di Le Mans. Ogni anno – come di consueto – milioni di fan e appassionati si sintonizzeranno per vedere lo spettacolo di una delle corse automobilistiche più famose al mondo, mentre i più fortunati potranno addirittura godersi lo spettacolo dal vivo, assiepati sulle tribune o sui prati che costeggiano tratti storici del circuito come Arnage, Mulsanne o le Curve Porsche.

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Sapete, il nostro #tbt è nato con lo scopo di fare luce, di focalizzare l’attenzione su auto, su storie, su sogni passati sullo sfondo del mondo automobilistico. Ed oggi, con la 24 Ore più famosa del mondo in procinto di partire, mi sembrava d’obbligo scrivere due righe su un qualcosa di particolare, su una grande incompiuta, su un qualcosa che poteva essere e che invece non è mai stato. E per questo parlerò dell’Alfa Romeo Sport Prototipo, nota anche come Alfa Romeo Gruppo C o Alfa Romeo SE048, chiamatela come volete. Il nome, d’altronde, a volte non intacca la sostanza: Clark Kent è Superman e Superman è Clark Kent, proprietà commutativa docet.

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Strano ma allo stesso tempo affascinante periodo quello degli anni ’80 per l’automobilismo. Mi è capitato spesso di scrivere su auto o progetti nati in tale decennio: ognuno ha qualcosa di pazzo, folle ed allo stesso tempo geniale e affascinante, tale da impadronirsi irrimediabilmente di te. Immagino gli ingeneri che si adoperavano e venivano conquistati dal loro lavoro, in quel frangente quasi visionario della Storia dell’auto, con la voglia di creare qualcosa di unico, disposti a lavorare anche per più ore di quelle dovute, magari facendo “le ore piccole” ripetutamente. Perché in alcuni casi era più di un lavoro, era come se si parlasse di amore, come se ogni auto fosse un figlio che stesse per nascere, con un sentimento che trascende da tutto il resto. Ecco, io me li immagino così. E’ forse un mondo quasi fiabesco, lo so, ma i retroscena, i personaggi, le storie, tutto il contesto di quell’epoca, mi portano solamente in quella direzione…ma torniamo a noi.

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Il Gruppo C nacque nel 1982, per volere della FIA, per fermare l’incredibile sviluppo dei motori nella categoria GT. La nuova categoria aveva in serbo regole specifiche come vetture chiuse e limitazioni nel consumo del carburante. Tali regole andarono a discapito delle case private, ma fecero tornare in competizione i marchi ufficiali, pronti a darsi battaglia per tutto il campionato ed in particolar modo nella tappa Transalpina. E come molti, anche l’Alfa Romeo si accinse ad entrare in questo mondo. Spirava aria di cambiamenti nella Casa del Biscione dopo la fallimentare stagione in F1 con la 185T e la “gentile rescissione” con l’ingegner Carlo Chiti, uno dei personaggi più importanti nella storia della casa con sede ad Arese. L’azienda puntava a divenire fornitrice di propulsori per qualche anno e poi rientrare con la propria scuderia nel Campionato del mondo di Formula Uno ma, complice la crisi e l’acquisizione da parte del gruppo Fiat, tali ambizioni si arenarono. I propulsori però, quelli sì che erano già stati sviluppati, data la soppressione dei motori turbo, anche per via dell’incidente mortale che si portò via Elio de Angelis durante dei test privati all’autodromo Paul Ricard.

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V10, 3.5 litri aspirato. Questa era la formula della magia. Un motore nato per la Formula Uno, da trapiantare su qualcosa. Ma cosa, di preciso? Ecco, è qui che iniziarono a sorgere i problemi. Tuttavia, aiutati dalla FIA che si apprestava a creare il Campionato Pro-Car, la scelta cadde su una 164 incredibile, che però, per via del fato poeticamente parlando, o per via dello scarso interesse mostrato dagli altri Costruttori realisticamente parlando, rimase un progetto mai portato a termine, costituendo un’altra storia malinconica che vi racconteremo poi. Ma allora cosa ci rimane di tale maestria di tecnica a base di cilindri, bronzine e pistoni? Beh, a dir la verità tanto. Perchè dovete sapere che questo è il primo motore di Formula 1 V10 della storia recente anche se, per via di un destino beffardo e crudele, non equipaggerà mai una vettura di F1. Due bancate, ciascuna con basamento a sé stante e 5 cilindri. Costruito attraverso un composto di alluminio e silicio, con 4 valvole per cilindro e 4 alberi a camme, era in grado di sviluppare nei primi test la bellezza di 583 CV, fino ad arrivare a toccare i 620 nelle sue ultime versioni. 

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Ed è proprio da qui, dal Gruppo Fiat che aveva la Ferrari in F1 e dal disinteresse per il progetto Pro-Car, che il Reparto Corse dell’Alfa Romeo, date le modifiche delle regole per il Campionato Mondiale Sportprototipi che comportavano l’abolizione dei limiti al consumo e l’adozione motori F1, decise di realizzare una vettura per il Gruppo C. L’incarico venne affidato all‘ingegner Lunetta che, a capo di un team di progettisti proveniente dall’appena citato Reparto Corse e dalla Abarth, si adoperarono per costruire una vettura basata sulla massima efficienza aerodinamica. Pensate che nonostante il fondo piatto – attraverso due diffusori nel muso e due che si sviluppavano lungo la parte posteriore della vettura – riusciva a generare flussi aerodinamici maggiori rispetto alle moderne F1, tanto da portare il Team ad utilizzare la fibra di carbonio per il telaio. Il progetto venne diviso in due: l’aerodinamica venne sviluppata da Dallara e dal Centro Ricerche Fiat, mentre il motore venne montato su una Lancia LC2 per valutarne efficienza, potenza ed affidabilità. Quest’auto, pronta a nascere, pronta a correre, pronta a vincere, adottava le migliori soluzioni disponibili all’epoca, come i freni in carbonio, il telaio monoscocca in fibra di carbonio e le sospensioni di tipo Push-rod. Ma non il motore, non quel V10 che vi abbiamo raccontato poco più sopra. I vertici del progetto imposero infatti l’adozione del V12 utilizzato dalla Ferrari in F1, per una scelta che causò non pochi malumori all’interno del gruppo di sviluppo. Gli ingegneri si tirarono però su le maniche e, attraverso un sapiente utilizzo di una nuova gestione elettronica del motore, alla fine riuscirono ad ottenere dei buoni risultati.

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Nonostante ciò, tuttavia, la vettura non vide mai la luce sportivamente parlando, complice una politica aziendale per certi versi controversa e, soprattutto, la fine del Campionato Sportprototipi. Ecco quindi cosa ci rimane di una vettura dal DNA tipicamente sportivo, “dal cuore sportivo”, in piena tradizione del Biscione. Un’infinita malinconia, che spesso ha attanagliato l’Alfa nella sua storia recente e che ancora ad oggi rimane e persiste. E chissà se tra qualche anno magari FCA non si farà perdonare, facendo trovare e noi piccoli e grandi appassionati un regalo per il WEC, da scartare magari proprio alle porte di Le Mans…





Tags : 24 ore le mansalfa romeofia wecSE048Sportprototipi
Marco Perziani

The author Marco Perziani

Dal 1991 ossessionato dai motori. Vi parlo di nuove uscite, e narro storie. Tutto esclusivamente a base di cilindri, passione, odor di carburante possibilmente sulle note di un V10 aspirato.