close
4 RuoteFormula 1Su pista

Se la F1 ignora un giro come quello di Verstappen forse c’è un problema di narrazione





Sono circa le 19:00 italiane quando Max Verstappen, nel Q3 delle qualifiche del Gran Premio d’Arabia Saudita di F1, riesce in un qualcosa che fino a ieri quasi nessuno era riuscito a fare dal momento in cui ha debuttato l’attuale generazione di monoposto di Formula 1.

© Mark Thompson / Getty Images

L’olandese, che al termine del suo primo tentativo ha fermato il cronometro sull’1’27”472 che gli è poi valso la pole e il nuovo record della pista, è stato infatti uno dei pochissimi piloti a essere finora riuscito a battere, al volante di un’auto figlia del nuovo regolamento tecnico, un tempo siglato con le vetture della precedente era. Il riferimento cronometrico in questione è quello che, al termine delle straordinarie qualifiche dell’edizione 2021 del GP d’Arabia Saudita, valse la pole position di una delle gare più indimenticabili della storia recente della Formula 1 a Lewis Hamilton.

Nella gara che tutti noi ricordiamo – e ricorderemo – anche per via del clamoroso contatto che vide coinvolti proprio l’inglese e Max Verstappen, all’epoca in accesissima lotta per quel titolo assegnato con il controverso finale di Abu Dhabi, il #44 scattò dalla prima casella dello schieramento grazie al suo 1’27”511. Un tempo, se la matematica non mi tradisce, di 39 millesimi più lento rispetto a quello messo a segno da Verstappen nelle qualifiche dell’edizione 2024 del GP.

Ricorderete anche come il duello, consumatosi poi nel famoso brake-test che portò al contatto la Mercedes e la Red Bull, iniziò sin dalle qualifiche. Fu solo per via di un clamoroso contatto contro le barriere in uscita dell’ultima curva, infatti, che a Max Verstappen non riuscì di strappare la pole position dalle mani di Hamilton grazie a un giro spaventosamente veloce. Lo ricordate bene, lo so. E lo ricordate bene perché la Formula 1 nel 2021, in quell’ultimo tentativo, ebbe occhi e orecchie solamente per Max Verstappen. L’allora #33 venne seguito spasmodicamente da ogni telecamera presente sul circuito, con la regia che riuscì a regalarci uno dei momenti di guida più alti che la storia recente della Formula 1 ricordi. Ora, ad appena tre anni di distanza da quelle qualifiche, le cose sembrano essere radicalmente cambiate. Del giro che è valso la pole del GP d’Arabia Saudita all’attuale #1 ricorderemo infatti poco o nulla: le telecamere della regia hanno inquadrato l’onboard di Verstappen solamente negli ultimi 2” di un tentativo parso clamoroso sin dal suo primo settore, preferendo all’olandese – e per quasi 90” – tutta una serie di altre inquadrature.

© Clive Mason / Getty Images

La domanda, a questo punto, sorge quasi spontanea in chi vi scrive. Ammesso e non concesso che l’apparentemente incontrastabile dominio di Max Verstappen e della Red Bull stia anestetizzando il Campionato del Mondo di Formula 1, siamo davvero convinti che la F1 sia ormai davvero incapace di offrire spunti provenienti dall’interno della pista? Oppure è il modo in cui la stessa Formula 1 ci viene raccontata che induce una miriade di spettatori a pensare ciò?

Chiariamoci, che le recentissime stagioni di F1 non siano annoverabili tra le più emozionanti nella storia di questo sport è innegabile. Verstappen e la Red Bull hanno polverizzato record e statistiche che parevano destinati a rimanere cristallizzate per secoli, e la pressoché totale mancanza di avversari credibili non ha fatto che acuire il senso di noia che spesso assale lo spettatore della Formula 1. Al netto di ciò, tuttavia, credo non si possa non sottolineare come la F1 stia dando l’impressione – soprattutto in tempi recenti e recentissimi – di volere colpevolmente trascurare anche quei pochi ma altissimi picchi di sport che ha ancora da offrire. La spasmodica e artificiosa ricerca di quel “drama” che ha frantumato tutto il frantumabile e che ormai viene considerato parte integrante e imprescindibile della narrazione di qualsiasi tipo di avvenimento, anche del più banale che possa venirvi in mente, ha probabilmente oltrepassato la soglia della ragionevolezza.

La Formula 1 è prima di tutto uno sport. Uno sport che, essendo costituito nella sua essenza da scuderie, circuiti, monoposto e piloti, è in questi ultimi che trova la propria vera e ultima identità. La F1 ha fatto emozionare generazioni di appassionati per ciò che mostrava in pista, tra i cordoli, negli abitacoli e per ciò che nascondeva nell’animo e negli sguardi sotto le visiere dei caschi, non per quello che veniva pronunciato davanti ai microfoni o in favore di telecamere. Ora la situazione sembra essersi rovesciata, al punto che persino una scintillante manifestazione di talento come quella esibita da Max Verstappen nelle qualifiche del GP d’Arabia Saudita viene oscurata da un manto d’indifferenza. Perché?

La domanda è lapalissiana, la risposta è ovvia: per motivi economici e commerciali. Nessuno – nessuno – di coloro che tanto hanno investito e ancora stanno investendo sulla Formula 1 ha minimamente intenzione di perdere la moltitudine di spettatori guadagnati grazie alla forse irripetibile stagione 2021, una stagione che ha regalato a troppi l’illusione di una F1 fatta di Mondiali decisi all’ultimo giro, all’ultima curva, all’ultimo respiro. Di Mondiali che rendono estremamente facile appassionarsi a un determinato sport, in sostanza.

©Peter Fox / Getty Images

La Formula 1 è però una realtà sportiva diversa da molte altre, e non è necessario essere cultori della categoria per sapere che la F1 è stata per larghi tratti della sua storia caratterizzata da un susseguirsi di cicli vincenti di questo o di quel team, di questo o di quel pilota. Una stagione che in molti oserebbero quasi definire “normale” rispetto a quella del 2021 è indubbio che possa comportare una flessione negli ascolti, due campionati dominati da una devastante combinazione uomo – macchina è innegabile che generino un calo numerico degli spettatori, ma le preoccupazioni legate a simili numeriche non possono e non devono snaturare uno sport. Che può essere sì supportato dai Social nel suo essere sempre più globale e accessibile, sì arricchito dal racconto e dall’analisi del magma politico che ribolle nei Paddock di tutto il mondo, ma che non deve essere in alcun modo seppellito dalla valanga di roboanti notizie date sulla base di informazioni date da “fonti vicine” o da personaggi dimenticati che cercano una rinnovata notorietà dietro al microfono di un podcast.

Con questo non voglio assolutamente dire che non si debba ricercare la verità in una vicenda o che non sia giusto informare il pubblico di determinati accadimenti, affatto. Sto però dicendo che la convulsa e morbosa attenzione avuta nei confronti di voci vagamente connesse a fatti conclamati – di cui è stato invece giusto parlare in una certa misura – potrebbe avere assunto dimensioni e rilevanza tali da assorbire interamente le attenzioni del pubblico, ormai erroneamente convintosi (non senza spintarelle, vero regia di Jeddah?) del fatto che quasi nulla di ciò che la Formula 1 ha da offrire in pista valga un briciolo di considerazione. Delle quattordici domande complessivamente poste dai giornalisti ai Team Principal presenti alla conferenza stampa del giovedì, undici riguardavano vicende totalmente estranee alla pista, vicende che certamente non verranno decise o risolte con una dichiarazione spontaneamente rilasciata ai media da una delle persone coinvolte. Dimenticarsi così di ciò che accade in pista, quando si è solamente alla seconda gara dell’anno e con potenzialmente moltissimi scenari ancora da visionare, parrebbe quantomeno eccessivo, non vi sembra?

L’alternativa a questa cacofonia di fondo, a questo voyeurismo mediatico che sembra avere avvelenato la F1, c’è ed è lo sport: quello che si pratica al volante delle automobili più belle del mondo, a velocità impensabili e su circuiti leggendari, quello che grazie alle imprese di cui è stato protagonista ha alimentato, alimenta e alimenterà la passione di un incalcolabile numero di persone. 

Di Ayrton Senna ricorderemo per sempre il sovrannaturale giro che gli valse la pole position nel GP di Monaco del 1988. Di Max Verstappen, un domani, non vorrei che ci ritrovassimo a ricordare la straordinaria pazienza mostrata nel rispondere a quaranta domande consecutive su suo padre, sul suo capo, sul suo mentore e su qualsiasi altra cosa che non riguardi pista, guida, talento, velocità. Perché, fidatevi, sarebbe davvero un grande peccato.  





Tags : f1f1 2024formula 1gp arabia sauditaverstappen
Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow