Con il Gran Premio dell’Arabia Saudita, è terminata la prima triple header del 2025 e, se a Oscar Piastri ha regalato la vetta della classifica piloti, Jeddah ha anche riportato in auge Mad Max e regalato il primo podio stagionale alla Ferrari. Da un lato, la rabbia per un primo posto sfumato a causa di una penalità inflitta dall’alto, dall’altro, la speranza che dal Corniche Circuit si possa ripartire più forti. È con Leclerc e Verstappen di nuovo a podio insieme che riemerge il fardello di chi traina la propria squadra, la lotta silenziosa per i propri colori e quella per sé stessi. E se il monegasco trova finalmente lati positivi nella sua P3, il campione olandese appare sempre più insofferente nei confronti dell’ambiente della Formula 1.

Sembra già di sentirlo, Charles Leclerc: Non posso essere soddisfatto di un terzo posto. A questo ci ha abituati negli anni, perché al termine di gare che non sortiscono il risultato sperato (la vittoria, se non fosse chiaro), il numero #16 della Rossa non ha mai nascosto la delusione. Frutto di una fame che lo accompagna dal 2019, di quella voglia di primeggiare per rendere onore al Cavallino Rampante, lì dove merita di stare: davanti a tutti.

Eppure, ai microfoni di Jeddah, i fatti sono andati diversamente: “Ci sono tante cose di cui devo essere contento”. Un Leclerc che accetta la sorte che il circuito arabo gli ha riservato, cogliendone i lati positivi, a discapito del gradino più basso del podio. E quale miglior aspetto, se non la gestione della gomma, con la mescola media protagonista di un primo stint più lungo rispetto ai colleghi? Una strategia che lo ha riportato là dove mancava dall’ultima gara del 2024, ad Abu Dhabi: un digiuno durato quattro GP, durante i quali la nuova SF-25 non ha fatto altro che smentire i bollenti spiriti che nel pre-stagione la davano già capolista dei campionati.
Una boccata d’aria fresca, quindi, dopo piazzamenti in top 10 di poco conto, o quarti posti che spesso pesano più dell’ultimo, a un passo dai migliori. Poi la doppia squalifica in Cina, che alla domenica aveva lasciato la Scuderia con le ossa rotte, lì dove al sabato Lewis Hamilton aveva portato a casa pole position e Sprint Race, per il primo trionfo con i nuovi colori. Un Hamilton a 30 secondi dal compagno in Arabia Saudita, ennesima ragione per cui il connubio Hamilton-Ferrari è sì stato l’affare del secolo, ma uno di quelli che rimane pur sempre un grandissimo cambiamento, non garantendo vita facile. Che i numeri, prima di andare in pista e misurarsi con l’avversario, non contano nulla. Ma la Ferrari è anche questo, si adagia su una storia infinita che, come da copione, all’inizio di ogni anno vuole le vetture di Maranello più forti di qualunque altra.
Alla domanda “Charles sta mantenendo viva la Ferrari?”, Frédéric Vasseur risponde che si deve continuare a lavorare assieme. Come un mantra: in Ferrari si vince e si perde in famiglia. Ma il dubbio rimane. Da anni al nativo di Montecarlo manca un’auto da mondiale, eppure continua a firmare i risultati della speranza, quando più c’è bisogno di riscatto. Forse, allora, la risposta corretta sarebbe stata: Sì, Charles Leclerc, una volta ancora, sta mantenendo viva la Ferrari. Che, se vesti di rosso, il singolo non conta — e lo sa anche Charles, che si corregge durante un’intervista: “La mia performance… La nostra come team”. Ma attenzione al susseguirsi di accenni a una svolta, a qualcosa che si è sbloccato e che sbloccherà ancora più performance (magari anche con l’arrivo degli aggiornamenti). Sì, perché c’è un segreto apparentemente significativo, che risponde al solo nome di Charles Leclerc, domiciliato precisamente nella sua parte di box. E sì, la qualifica ancora pecca e non tutti i conti tornano, ma la stagione è lunga e la fame del monegasco non è una che si estingue facilmente.
Come, del resto, non si estingue quella di Max Verstappen, al volante di una RB21 alquanto imprevedibile. Imprevedibile, ormai, l’olandese non lo è più: forte di un talento e di una mentalità che gli permettono di superare anche i limiti della propria vettura. Quella che, nelle prove libere sul Corniche Circuit, era lontanissima dalle McLaren, ma che al sabato si è portata a casa la pole position con il numero #1 stampato sul muso. La velocità, Max l’ha sempre avuta, ma questa volta bisogna riconoscere come, anche nel più buio dei periodi, in casa Red Bull non si sia persa del tutto quella cosa che, negli anni scorsi, ha rimescolato le carte di weekend che sembravano destinati al fallimento: la capacità di modificare l’assetto della monoposto in poco tempo. E allora, grazie al contributo del reparto meccanico (e alla scia di Yuki Tsunoda), l’olandese ha potuto brillare nel giorno più veloce di tutti, preludio di una domenica di festa che, alla prima curva, però, ha spento immediatamente l’entusiasmo. Cinque secondi di penalità inflitti a Max Verstappen in seguito all’incontro ravvicinato con Oscar Piastri, a seguito del quale è uscito di pista ricavandone un vantaggio. Come si suol dire, l’allievo che supera il maestro, il nativo di Hasselt si è visto beffato dallo stesso gioco di cui è l’ideatore. Una staccata al limite, purché, da nuovo regolamento, si stia entro i limiti del tracciato.

Nella cool-down room inizia il mutismo selettivo del pupillo di Milton Keynes, poi proseguito davanti ai giornalisti in conferenza stampa. “Ti diverti ancora o non c’è più piacere in quello che fai? Le tue risposte sono più brevi e non sembri felice come una volta.” Oppure: “Ti senti frustrato dal fatto che non puoi esprimerti apertamente?” Perché è vero, Max Verstappen sente di non potersi esprimere, per paura di sanzioni e provvedimenti che dall’alto piovono sulla griglia di Formula 1 da un po’ di tempo ormai. O di essere frainteso. Reo di un’azione che non sempre è stata penalizzata (ma ormai si sa, la bussola della FIA ha da tempo perso il suo Nord), Verstappen ha ribadito più volte di non voler perdere tempo, di non voler discutere. E allora il limite è stato raggiunto, di nuovo.

C’è un Max Verstappen che non ha nulla di cui essere contento, a differenza di Charles Leclerc che, almeno questa volta, di quella terza posizione si accontenta. È la consapevolezza che il bottino di punti avrebbe potuto essere più ghiotto, è un secondo posto che poteva essere un primo. È quel regolamento che lo ha spesso tutelato, firma di temerari approcci in curva. E nonostante l’ennesima fatica di Lando Norris, i riflettori si volgono verso Max Verstappen per incoronarlo perdente della domenica, ma più per suo volere che per nostro: perché la performance dimostrata è stata tutto fuorché negativa. Perdente nei confronti di quel paddock che a tratti odia, a casa di Mohammed Ben Sulayem.
Che, se il monegasco si ritrova a trainare una squadra da anni, e Jeddah ne è stata solo l’ennesimo esempio, non lo fa per dovere ma per amore e convinzione. Fedele a un progetto che le delusioni le bilancia con i sogni e la perseveranza. L’olandese, invece, si muove in un terreno sconosciuto. Per la prima volta dopo anni di dominio, Max Verstappen è chiamato a smentire chi lo credeva solo il pilota perfetto per un’auto perfetta. E la smentita, dopo appena cinque gare, è già evidente, ma non per questo meno amara. Perché la battaglia ora si gioca su più fronti: dentro al box, tra dinamiche sempre più complesse, e fuori, dove ad aspettarlo c’è il volto severo della FIA.
E allora in una Formula 1 sempre più stringente, dove le distanze si accorciano sempre di più, sono personalità come quelle di Charles Leclerc e Max Verstappen che ci fanno sperare, a volte, in un più sano egoismo. Contro tutti. Contro la concorrenza, contro la propria scuderia, contro sé stessi. Contro un sistema costantemente più ingessato.