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La 101^ edizione della 500 miglia di Indianapolis ha premiato un veterano della serie: Takuma Sato. Ma l’edizione ha visto tanti piloti avvicendarsi alla testa della classifica, veri e propri gladiatori che hanno scaldato il catino dell’Indiana per quasi tre ore di corsa. Vediamoli insieme, uno per uno.

Indy 500, le Pagelle di tutti e 33 i protagonisti della gara americana!

TAKUMA SATO – 9. Il giapponese non ha dominato quest’edizione della corsa ed è rimasto in disparte per i primi tre quarti di gara. Ma si sa, la 500 Indy si vince negli ultimi 50 giri di sprint finale, e Sato ha risposto all’appello. Capace di reggere il passo di Helio Castroneves e addirittura di sfilargli la testa e resistere ai suoi attacchi. Peccato per l’anonimato iniziale.

HELIO CASTRONEVES – 8-. Il cielo gli aveva fatto piombare l’occasione di fare poker sulla Brickyard e Helio se l’è fatta sfilare dal rivale giapponese. Il carioca ha ragione di disperarsi al termine della gara perché a pochi giri dalla fine ce l’aveva in pugno e sembrava il vincitore scelto dalla Provvidenza. Ma non si può ignorare la bravura nel ritornare in Top 3. Per l’ennesima volta.

ED JONES – 9. È vero, il suo podio è frutto del rimescolamento finale delle carte. Ma un rookie che sale sul podio a Indianapolis non ci sale solo per caso: Jones ha dimostrato che le vetture Coyne hanno competitività quest’anno e che lui ha la stoffa per supplire Bourdais. Non può insidiare il titolo morale di Rookie of the Year ad Alonso, ma si è guadagnato una lente d’ingrandimento per le prossime corse.

MAX CHILTON – 7. I due punti per i most laps lead se li becca il britannico. Che si intasca così anche un voto più che discreto. Chilton infatti, anche se è piombato in testa per questioni strategiche e ci è rimasto con la complicità della pioggia di bandiere gialle, ribadisce la sua maturità sugli ovali (che fin dall’IndyLights gli sono stati congeniali). In barba ai suoi detrattori.

TONY KANAAN – 8,5. Penalizzato dagli scompaginamenti tattici di fine gara, TK ha condotto però una 500 miglia meravigliosa. Sublime a inizio corsa, con una rimonta flash che lo scaraventa in testa alla corsa, si perde un po’ per poi marcare a uomo i piloti dell’Andretti Autosport. E chissà come mai finisce davanti a loro…

JUAN PABLO MONTOYA – 7,5. Appena fuori dalla Top 5 grazie a un finale scoppiettante, Montoya ha però peccato d’inedia nella prima parte di corsa. Ci si aspettava molto di più da Juancho, che però sconta un anno di attività e qualche chilo di troppo. Sarà per l’anno prossimo.

ALEXANDER ROSSI – 8+. Forse meritava anche di più, ma finire dietro Kanaan e Montoya gli fa perdere qualcosa. Rossi quest’anno è sembrato davvero un pezzo pregiato della gara e non sarebbe stato immeritato un eventuale bis. Questa Indy sembra l’inizio di una carriera destinata a fiorire.

MARCO ANDRETTI – 7–. Il figlio e nipote d’arte avrebbe dovuto fare di più. Si era qualificato un po’ indietro ma è apparso meno reattivo di quanto ci si aspettava. Dopo anni di esperienza sul catino, era ormai anche ora vederlo tra i primi. Ma bisognerà aspettare ancora.

GABBY CHAVES – 7,5. Una gara senza infamia e senza lode per l’#88, ma che va premiata perché non corre a tempo pieno e si è lanciato in pista con un team anch’esso part-time. Avvantaggiato da incidenti e strategie, ha il merito di conquistare la Top 10 giocando pulito.

CARLOS MUNOZ – 7,5. Mettersi dietro Ed Carpenter non è da tutti, soprattutto a parità di motore. La prima guida di AJ Foyt ha l’onore di aver mostrato i denti sull’asfalto dell’Indiana e conclude tra i primi 10 con un pit-stop in più rispetto a molti altri.

ED CARPENTER – 5. Deludente la prestazione di Ed, specialista degli ovali che aveva alimentato le speranze di vittoria di Chevrolet per settimane. Anche in qualifica aveva conquistato un’inaspettata prima fila: arriva 11°, pur con tutte le attenuanti, è davvero avvilente.

GRAHAM RAHAL – 7. Quest’altro figlio d’arte arriva più indietro ma prende di più perché ha saputo costruire una bella corsa, facendosi trovare al momento giusto nel posto giusto. Peccato che ci è riuscito solo una volta, scaraventato nelle retrovie nell’ultima concitata fase di gara.

MIKHAIL ALESHIN – 6. Il russo ha avuto i suoi momenti di gloria nel corso della 500 miglia ma dallo Schmitt Peterson in generale ci voleva un riscatto, e in Mikhail, che sugli ovali sembra migliorarsi ogni gara che passa e si era qualificato bene, erano state riposte parecchie speranze.

SIMON PAGENAUD – 5. Il campione in carica aveva evidenziato una buona prima fase di gara ma si è totalmente perso nel finale, precipitando così in basso da rientrare a mala pena nella Top 15. Non proprio un buon colpo, specie in ottica campionato.

SEBASTIAN SAAVEDRA – 6. Il colombiano torna protagonista dopo mesi di assenza e anche lui con un contratto part-time mostra buoni spunti nel corso della gara. In realtà non è chissà quanto migliore di Pagenaud, ma è giustificato dalla mancanza di pratica.

JR HILDEBRAND – 4. Vero che Carpenter era il vincitore predestinato, ma Hildebrand aveva insidiato Alonso nelle qualifiche con giri velocissimi e a inizio gara girava tra i primi. Sinceramente la P16 è davvero poco, dovendo essere lui l’uomo Chevy, dopo il caposquadra.

PIPPA MANN – 8. L’unica donna al via era partita in 32^ posizione ed è riuscita a rimontare fino alla 17^ piazzola, scalandone ben 15. Si tratta di una rimonta che va premiata perché le retrovie della IndyCar sono bollenti e uscirne vittoriosi è davvero un’impresa.

SPENCER PIGOT – 7. Anche l’#11 perfeziona una bella scalata ma oltre a essere di entità inferiore alla Mann, Pigot ha l’aggravante di trovarsi nel team più solido che mai sui circuiti ovali. Patisce gli stessi problemi di Hildebrand e Carpenter ma almeno migliora la posizione di partenza.

JOSEF NEWGARDEN – 6. Il ragazzo su cui Roger Penske ha puntato gli occhi e il cuore non sembra brillare nel cielo dell’Indiana, ma merita la sufficienza perché a tre quarti di corsa era comunque riuscito a ritornare in buone posizioni. Peccato per la fine.

JAMES DAVISON – 6. Sufficienza anche per il sostituto in extremis di Sebastien Bourdais, costretto alla rimonta dopo esser partito ultimo e che, anche se si ritira al 183° giro, ha il merito di girare senza aver avuto un briciolo d’esperienza sul tracciato americano.

ORIOL SERVIA – 3. Completo disastro per Servia, che parte 12° e finisce fuori pista nel contatto del 183° giro. Lo spagnolo rientrava anch’egli part-time nell’IndyCar, ma si appoggiava al Rahal Letterman Lanigan e avrebbe potuto fare di più.

JAMES HINCHCLIFFE – 5. Caposquadra dell’SPM per conclamata superiorità sul veloce ma inesperto Aleshin, Hinchcliffe ha deluso per tutto il mese di maggio. L’anno scorso poleman a sorpresa, quest’anno scampa al 4 solo per le spettacolari ripartenze farcite di doppi sorpassi.

WILL POWER – 6,5. A inizio gara ha perso posizioni dopo che sembrava poter rientrare tra i protagonisti. Esce di scena col contatto del 183° giro senza apparire mai in grado di lottare per la vittoria.

FERNANDO ALONSO – 10. Il voto può apparire spropositato ma se Filippi dice che «sembra uno specialista degli ovali» allora bisogna premiarlo davvero. Capace di manovre che appartengono ai veterani, millimetrico nell’esecuzione dei comandi degli spotter, freddo e deciso nella gestione della gara e dei sorpassi, Alonso ha compiuto un vero e proprio miracolo, che nessun altro rookie di piccolo calibro sarebbe capace di replicare. Avrebbe potuto vincere. Mannaggia a Honda…

CHARLIE KIMBALL – 6. Anche per lui la gara si conclude senza infamia e senza lode, scontando un cedimento del motore nel corso del giro numero 166. Come in molti dichiarano da anni, sarebbe il caso che Ganassi ci faccia un pensierino, sul cambiare pilota per la #83…

ZACH VEACH – 6. Non è andato male il debuttante di AJ Foyt, lui vittima viceversa di un problema meccanico. Sarebbe interessante vederlo in altre gare, sempre col team di AJ: ha molto da imparare da Munoz e Daly.

BUDDY LAZIER – 5. Il vincitore del 1996 si ostina a ripresentarsi tutti gli altri ma non ha concrete chances di vincere ancora. Il suo atto di presenza ormai appare superfluo.

CONOR DALY – 3. Autore di un assurdo tentativo di sorpasso all’esterno di Montoya, l’americano ha provocato l’ingresso di una caution nella maniera meno intelligente che si è vista in questa edizione della 500 Indy.

JACK HARVEY – 4. Un errore che segnala Filippi in telecronaca è quello di Harvey, che vede il fumo generato da Daly e opta per frenare: il risultato è uno spin e quindi il ritiro.

SCOTT DIXON – 9. Stava andando benissimo e la sua pole aveva dell’incredibile. Incolpevole nell’aver preso il volo sopra Jay Howard, fa impazzire la grinta con cui sorpassa i controlli medici e dichiara di voler ritornare in pista.

JAY HOWARD – 5. Il suo pericolosissimo incidente è frutto dell’inesperienza ma ciò non toglie che ha messo a rischio mezza griglia e ha provocato tanti danni da far sventolare la bandiera rossa.

I risultati della 500 Indy sulla colonnina




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Marco Di Geronimo

The author Marco Di Geronimo

Nato a Potenza nel 1997, sono appassionato di motori fin da bambino, ma guido soltanto macchinine giocattolo e una Fiat 600 ormai sgangherata. Scrivo da quando ho realizzato che so disegnare solo scarabocchi. Su Fuori Traiettoria mi occupo, ogni tanto, di qualcosa.